Grande è la confusione sotto il cielo del Portogallo. Ma per il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa, che 50 anni dopo il ritorno alla democrazia (25 aprile) dovrà risolvere il rebus di un risultato elettorale intricato, contrariamente a quanto predicava Mao Tse Tung la situazione non è affatto eccellente. Ha vinto con il 29,5 dei consensi di un soffio Alianca Democratica (fusione nel centrodestra fra i conservatori del partito socialdemocratico, un piccolo partito democristiano e una formazione monarchica) che neanche però con l’appoggio dei liberali ha la maggioranza assoluta. Ma il vero trionfatore è Chega (in portoghese vuol dire “Basta”), il partito iperpopulista di estrema destra che in un paio d’anni ha quadruplicato i voti (salendo al 18,1 per cento), ma contro cui tutto l’arco politico ha steso un cordone sanitario per le sue posizioni estreme. Lo sconfitto sia pur di misura (28,7 per cento) è il partito socialista, da 8 anni al potere, che in un biennio ha perso 13 punti e quindi la maggioranza assoluta che deteneva con il governo di Antonio Costa.
In uno scenario così complicato la soluzione più perseguibile sembra quella di un incarico affidato a Luis Montenegro, il leader di Alianca Democratica, che non ha fatto meglio dei suoi predecessori, che ha fallito la spallata alla sinistra ma che in un quadro costituzionale che in Portogallo lascia aperte molte strade può tentare di mettere insieme un governo di minoranza con un destino prevedibilmente precario. Il leader del centrodestra anche dopo la striminzita vittoria ha escluso di imbarcare nel governo Chega che gli consentirebbe una amplissima maggioranza e una tranquillissima navigazione. “Un no è un no”, ha ribadito nei contenuti festeggiamenti. Né può rimangiarsi la parola di scendere a patti con i socialisti per un governo di unità nazionale anche perché Pedro Nuno Santos, il successore di Costa, ha dichiarato che resterà all’opposizione (se fallisse Montenegro, pur con il sostegno dei partitini di sinistra, non riuscirebbe a governare neppure lui) e contrariamente alla disponibilità affermata durante la campagna elettorale non si opporrà neanche alle mozioni di sfiducia. Ai socialisti, sicuramente penalizzati dal caso di corruzione che ha indotto Costa a dimettersi, resta soprattutto il rammarico per la rinuncia troppo fulminea causata da uno scandalo che aveva appena lambito il premier.
É mesmo para Mudar. Obrigado à onda de Mudança que percorreu o País com vontade de construir um Governo novo para um Portugal novo. Os Portugueses sabem que só na Aliança Democrática encontram segurança e visão para um Portugal de futuro. #ÉhoraDaMudança pic.twitter.com/ntPffDNxqk
— Luís Montenegro (@LMontenegroPSD) March 8, 2024
Non resta quindi che la strada di una corsa solitaria e incerta che costringerà Alianca Democratica a ricercare su ogni legge convergenze di giornata. A meno che non prevalga l’ala minoritaria che senza neanche turarsi il naso ha preso atto del trionfo di Chega e senza badare troppo per il sottile spinge per eliminare le barriere. André Ventura, il controverso leader di Chega, a sua volta è deciso a mettere all’incasso con un ingresso nel governo la sua vertiginosa crescita. “Per volere del popolo”. Ma l’ipotesi più probabile è che nei prossimi mesi si accontenti di fornire a Montenegro un appoggio esterno, senza suoi ministri nel governo. “Se non c’è accordo”, aveva ammesso alla vigilia, “si va avanti punto per punto”. Almeno fino alle elezioni europee di giugno, in cui conta di rafforzare il suo ruolo anche in chiave continentale (per dare maggior forza al progetto sarebbe intenzionato a passare dal raggruppamento di Marine Le Pen e Matteo Salvini a quello di Giorgia Meloni).
In Portogallo spira in ogni caso un forte vento di destra malgrado i notevoli risultati (oltre il 2 per cento di crescita del Pil e sensibile riduzione del debito pubblico) riportati dai socialisti nella macroeconomia. Le graduali riforme di Costa hanno sì sistemato i conti dello Stato, ma senza ricadute sulla vita della gente. È esploso sì il turismo, con tutto l’indotto, che ha rimpinguato le casse. Ma i salari cresciuti di poco e le pensioni locali rimaste al palo non riescono a fronteggiare l’incalzare dell’inflazione. L’arrivo dei pensionati dall’estero, che hanno fortemente alimentato i consumi, ha prodotto poi la gentrification. Il portoghese medio non è in grado di sostenere gli affitti schizzati ale stelle che possono pagare gli stranieri ed è costretto a emigrare nelle periferie dove non si è ancora sviluppato un piano di residenze popolari. C’è infine il problema della sanità pubblica, con la carenza soprattutto nelle grandi città dei medici di base. E in più c’è il dramma della disoccupazione o sottoccupazione giovanile che un po’ come in Italia costringe tanti rappresentanti della generazione Z a emigrare.

Né Pedro Nuno Santos né Luis Montenegro sono riusciti a intercettare in pieno il malcontento dilagante. Perché entrambi hanno prospettato misure troppo generiche (i socialisti promettendo un aumento dei salari e una diminuzione di ore di lavoro tramite nebulosi sentieri di sviluppo) o velleitarie (i conservatori tramite una riduzione delle tasse che implicherebbe irraggiungibili tassi di crescita). L’ha fatto, invece, Ventura con il suo radicalismo estremo e il suo linguaggio violento, mutuati da Trump e Bolsonaro e giustificati dalle associazioni evangeliche anche in Portogallo in netta espansione. Ha tuonato contro la corruzione che avvelenava l’economia, l’immigrazione che toglierebbe lavoro alla popolazione indigena e seminerebbe violenza, l’insicurezza nell’ordine pubblico (con completo sostegno alle rivendicazioni salariali dei poliziotti), il libero aborto (vorrebbe un referendum abrogativo e, in uno scoppio “medievale” di esasperazione, aveva proposto la rimozione delle ovaie per le donne decise a interrompere la gravidanza). Rastrellando voti non solo fra i nostalgici del regime autoritario, ma anche fra quelli dei latifondisti sempre terrorizzati dal fantasma del comunismo, dei ceti benestanti che rimpiangono l’impero coloniale, delle periferie urbane bersagliate dalla povertà e dei giovani rassegnati alla sottoccupazione e adescati con un uso spregiudicato del web.
Male che vada c’è sempre una scappatoia. Si tornerà a votare in autunno.