In Portogallo, nelle elezioni legislative del 10 marzo, potrebbe finire come in Spagna. Con la vittoria di misura del centrodestra che per la mancanza di una maggioranza assoluta non riuscirebbe a governare (salvo rimangiarsi le promesse e stringere un’alleanza con gli estremisti di destra in prepotente crescita contro cui, per tutta la campagna, ha steso un cordone sanitario). O con la permanenza al potere del partito socialista – che governa con discreti risultati da 8 anni ma che nell’autunno scorso è stato azzoppato da uno scandalo finanziario – sorretto in una coalizione di minoranza da un pulviscolo di partitini di sinistra. Un rebus determinato secondo i sondaggi da un pareggio tecnico fra i tradizionali schieramenti di destra e di sinistra, ma complicato dall’ascesa dell’estrema destra populista che per la prima volta ha introdotto un tripolarismo e con cui nessuno alla vigilia si dichiara disposto a dialogare. Un grattacapo che da lunedì dovrà districare il presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa, orientato secondo alcuni politologi – se i risultati rispetteranno le previsioni – a incoraggiare un governo di centrodestra (i conservatori di Alleanza democratica spalleggiati dai liberali) con l’appoggio solo esterno di Chega (l’estrema destra) che ha soffiato sul fuoco del malcontento con una campagna aggressiva di stampo ultrapopulista condita di insulti e invettive. Con le prospettive di una navigazione a vista – legge per legge – che potrebbe sfociare in una nuova chiamata alle urne il prossimo novembre.

Le ultime rivelazioni danno in testa con il 34 per cento Alleanza democratica, unione fra il partito socialdemocratico, in Portogallo conservatore, il Csu democristiano e una formazione monarchica. Insieme con Iniciativa liberal al 6 per cento il centrodestra rallestrerebbe il 40 per cento dei consensi. Il partito socialista è quotato al 28 per cento (ha perso 13 punti dal 2022, quando il primo ministro Antonio Costa riuscì a formare un governo monocolore). Con l’appoggio del Bloco de Esquerda (5 per cento), Cdu formato da comunisti e ecologisti (5 per cento) e Libre (i verdi al 3 per cento) la sinistra raggiungerebbe il 41 per cento. Ma in termini d seggi parlamentari sarebbe sotto: 98 contro i 108 dei rivali che rimarrebbero però lontani dalla maggioranza assoluta fissata in 116 seggi. Ed ecco che potrebbe farsi largo Chega (16 per cento cin un potenziale di 41 deputati) in soccorso di un centrodestra non autosufficiente.
Il leader del centro destra (presidente dei socialdemocratici) è Luis Montenegro – 51 anni, con due figli – un politico di apparato poco brillante e senza grandi esperienze amministrative (ha fatto solo il sindaco in un paese vicino a Porto). Ha costruito tutta la sua carriera nei corridoi del partito che dalla rivoluzione dei garofani (il 25 aprile si celebra il cinquantenario) ha sempre conteso ai socialisti la guida del paese. Un self-made man che da giovane per mantenersi agli studi in legge faceva il bagnino e che da avvocato ha messo un piede nell’imprenditoria, nei settori del commercio e del turismo. Si mormora che nel 2008 sia stato iniziato alla massoneria ma lui nega.
Molto attento ai territori: da quando, nel 2022, ha assunto il comando del partito trascorre una settimana al mese in un distretto per toccare di persona le problematiche locali. Ha sempre escluso di accordarsi eventualmente con i socialisti per un gabinetto di solidarietà nazionale o con Chega considerato impresentabile.

Il capo della sinistra è l’economista Pedro Nuno Santos, 47 anni (una compagna e un figlio), ex ministro delle Infrastrutture e delle Abitazioni. Che ha raccolto l’eredità di Antonio Costa (per il futuro pensa a un incarico di vertice nella Ue) dopo le sue dimissioni in novembre determinate da un caso di corruzione relativa al mercato del litio e dell’idrogeno verde. Uno scandalo che ha coinvolto un ministro e ha lambito lo stesso premier (senza compromettere la sua popolarità) per la montagna di soldi trovati nell’ufficio del suo capo di gabinetto e un’intercettazione che riguardava in realtà un suo omonimo. Nuno Santos capeggia la corrente di sinistra del partito che ha prevalso sul centro più pragmatico e meno ideologico sponsorizzato da Costa che avrebbe preferito come successore il più moderato José Luis Carneiro (ministro degli Interni). È il regista della gerinconca (traducibile con aggeggio), l’alleanza tra socialisti e partitini di estrema sinistra che ha tenuto in vita i primi due governi Costa. È un uomo del fare che da ministro ha puntato molto sul rilancio delle ferrovie e sulla costruzione di un nuovo aeroporto a Lisbona avversato dagli ambientalisti. E con l’immagine un po’ offuscata dalle dimissioni da ministro per un passo falso nella crisi della Tap (la compagnia aeronautica di bandiera) e per aver preso l’indennità parlamentare dovuta ai deputati che non abitano a Lisbona perché aveva mantenuto la residenza a Madera pur abitando quasi sempre nella capitale. Un leader percepito come presuntuoso e a volte un po’ arrogante. Considerato meno affidabile e onesto di Montenegro ma più preparato. E con un largo seguito fra i militanti.

Il convitato di pietra è André Ventura, 41 anni, presidente di Chega (in portoghese vuol dire “Basta”), laureato in legge, ex seminarista e sanguigno commentatore calcistico quasi sempre in difesa del Benfica, la sua squadra del cuore. Un politico dai toni ruvidi e dal linguaggio sprezzante che sulle orme della spagnola Vox ha terremotato il panorama politico portoghese calamitando consensi sia a destra che a sinistra fra chi non crede più alle ricette dei partiti tradizionali e trovato buona audience fra i giovani grazie a un uso spregiudicato del web. Ha tuonato contro gli emigrati che sottrarrebbero lavoro ai portoghesi e alimenterebbero la violenza (anche se i numeri non lo confermano). Ha fatto crociate contro l’aborto giungendo al punto da proporre una proposta di legge (poi ritirata) che avrebbe imposto l’asportazione delle ovaie per le donne decise a sottoporsi all’interruzione di gravidanza. Ha inondato il Parlamento di mozioni, anche se su quasi 200 se ne è vista approvare solo una. Ma intanto ha fatto breccia su un elettorato trasversale che ha beneficiato poco dei parziali successi, al di sopra della media europea, dei governi Costa nella macroeconomia (Moodys ha promosso il Portogallo di ben due livelli nella graduatoria dell’affidabilità). In otto anni il leader socialista ha fatto crescere il Pil di oltre il due per cento e fatto scendere il debito pubblico di 35 punti. Mantenendo l’ordine sociale, grazie alle doti di resilienza dei portoghesi, aumentando il salario minimo e rilanciando gradualmente con un’austerità controllata i settori produttivi messi in ginocchio al tempo dei governi conservatori per le riforme imposte dalla trojka che avevano comportato una valanga di licenziamenti. Di fatto oggi il Portogallo si è ripreso, ma tre milioni di lavoratori hanno salari mensili che non superano i mille euro e la media delle pensioni non oltrepassano i 500: livelli insufficienti a sostenere un carovita schizzato anche qui alle stelle.
Per i portoghesi i problemi principali, oltre la corruzione, sono la salute (con un servizio sanitario alle corde), l’educazione (anche per i bassi livelli retributivi), la casa (per la gentrification provocata dall’afflusso, ora interrotto, di pensionati agiati in grado di pagare affitti alti e dal boom di turisti che ha fatto proliferare gli affitti brevi), la giustizia (per i tempi troppo lunghi) e la povertà (per i compensi lavorativi troppo bassi). Nessuno dei partiti ha indicato soluzioni salvifiche. Montenegro ha puntato sull’esigenza generica di un cambiamento senza indicare sentieri molto diversi da quelli di Costa (incluso il distacco da chi anche nel suo partito chiedeva un nuovo referendum sull’aborto) ma invocando intanto il voto utile contro le sinistre. Nuno Santos ha cercato di distinguersi da Costa senza rivendicare troppo i traguardi conseguiti dai socialisti ma ponendo sopratutto l’accento sulla catastrofe che con un ritorno al passato provocherebbe un nuovo governo di destra. Ventura ha continuato a ingiuriare tutti, salvo tirare un po’ il freno alla vigilia quando ha subodorato la possibilità di venire recuperato dal centrodestra come ciambella mascherata di salvataggio.
In sintesi, la sfida è fra Stato liberale e Stato sociale. Con i conservatori che promettono uno choc fiscale: una diminuzione sostanziosa delle tasse per imprese e privati che dovrebbe però essere sostenuta da una crescita del Pil mai registrata in 50 anni di democrazia. E i progressisti che sottolineano il valore della stabilità e ventilano uno choc sociale promosso dall’aumento dei salari grazie a una crescita graduale dell’economia.
Già domenica sera si saprà se potrà essere Luis Montenegro o Pedro Nuno Santos il nuovo primo ministro. “È un’elezione”, commenta pessimisticamente Joao Vieira Pereira, direttore del prestigioso settimanale Expresso, “che tutti e due meriterebbero di perdere”.