Il giorno dopo quel 7 ottobre eravamo tutti israeliani. Non servivano aggettivi, paragoni, semmai mancavano le parole per dire che non avevamo mai visto un orrore così forte, una ferocia così grande contro uomini, donne e bambini inermi in un giorno solo. Tutto il mondo. Mettiamo dentro anche “quelli che bisogna capire il contesto”, “quelli che c’era un prima”, tutti, anche loro, dopo il 7 ottobre di Hamas davano per scontato il diritto a reagire di Israele.
E anche quelle due parole d’ordine, “distruggere Hamas e riprendersi gli ostaggi”, non avevano obiezioni di principio, almeno tra i Paesi amici di Israele. Il punto era il come. Cinque mesi dopo Israele é solo. Solo. E sull’orlo di cambiare per sempre il suo destino. Inutile tornare sui numeri di Gaza che non si fermano mai, inutile commentare quei paracadute neri che ammarano circondati da sagome senza volto che si accalcano per aprirli e scappare via con un pacco qualunque purché sia. Inutile anche unirsi al coro di chi ripete come una giaculatoria “due popoli, due Stati” perché così non sarà mai più.
Israele guidata da questo governo, che è inutile definire di estrema destra, ha già vinto la sua guerra nel peggiore dei modi. Facendo deserto intorno e cambiando per sempre se stesso. Ora il ministro della guerra Gantz è a Washington a parlare e Netanyahu, che è il suo capo, ma anche il suo principale oppositore politico, lo diffida. Questo solo per dire della crepa più evidente. Ma è l’anima della società civile israeliana che sta andando in pezzi. Si protesta per riavere gli ostaggi chiedendo sia la guerra che il cessate il fuoco. Ai confini di Gaza si scontrano i coloni che vogliono già entrare con i soldati che devono fare finta di impedirlo. Al di là di quella barriera c’è una terra diventata inabitabile, girone infernale dove masse indistinte, perché così le abbiamo ridotte guardandole dai droni, si aggirano senza cibo, senza riparo e senza meta. Su tutto questo governeranno i vincitori.
Diamo per buono tutto quello che vuole Netanyahu. Diamo per scontato che i vertici di Hamas saranno annientati, che i palestinesi di Gaza accetteranno o di andarsene o di essere assoggettati per sempre ai vincitori, usati come lavoratori senza diritti, senza patria, senza bandiera in un Paese che continuerà a sventolare la democrazia ma solo per alcuni, gli altri se restano devono solo dire di sì. Va tutto bene, avete vinto, mettiamo che anche gli americani e l’Occidente e i Paesi arabi moderati accettino una qualunque soluzione umanitaria a guerra finita e tutte le condizioni poste da Israele in nome della sicurezza. Ipotizziamo che, come in Cisgiordania, anche a Gaza si ricostruiscano le case, ma solo per i coloni come vogliono e dichiarano ogni giorno ministri e leader di questo Israele.
Bene, ora rispondete a questa domanda: che Paese sarà quello che uscirà da questa guerra vinta, dal fiume al mare? Come sara fatto questo Israele vincitore? Già oggi si moltiplicano gli appelli critici di ebrei che vivono nel mondo contro quello che sta accadendo in quella terra, già oggi molti di quelli che stanno vivendo questi giorni tragici dentro Israele mettono in conto di andarsene usando l’altro passaporto che hanno. E quelli che restano saranno sempre più quelli che dicono, solo ebrei in questa terra e nessun altro. Quello che sarà domani è difficile da immaginare però chiedetevi come si vivrà in un Paese che dovrà convivere con un popolo sottomesso, che saprà di essere circondato per sempre da odio seminato e crescente, che nel mondo ha bruciato la più grande solidarietà mai avuta per via di una ferocia teorizzata e praticata nei confronti non del suo nemico ma del popolo del suo nemico.
Chiediamoci come faremo noi a sorridere e fare visita ai nostri amici di Tel Aviv o di Haifa, sapendo che da qualche parte ci sono uomini e donne vinti, cacciati o rimasti a fare da parìa nei giardini o nei campi dei vincitori. Anche solo fare una vacanza sul Mar Morto o tra le vecchie mura di Gerusalemme o tra le rocce del deserto del Negev sarà complicato senza sentire quel sapore di vittoria senza pace, di sicurezza senza giustizia, di bellezza senza umanità. Sarà questo l’Israele di domani? Sarà questo il Paese amico delle nostre democrazie?