Dopo i cinque viaggi in Medio Oriente del segretario di Stato Antony Blinken, ognuno con una tappa ad Amman, adesso è il presidente degli Stati Uniti Joe Bden a ricevere alla Casa Bianca il re di Giordania, Abdullah II. L’incontro a Washington mira, secondo una nota della Casa Bianca, a discutere degli sforzi per liberare gli ostaggi israeliani tuttora detenuti a Gaza da Hamas, ma anche la crescente preoccupazione sull’imminente operazione militare di Israele a Rafah, città portuale di Gaza al confine con l’Egitto. Non solo; i due cercheranno di ottenere una soluzione “definitiva” al conflitto Israele-Gaza, inclusa la “soluzione di due Stati con la garanzia della sicurezza di Israele”.
Si tratta però di un colloquio ad alto contenuto simbolico per vari motivi. Primo: la Giordania, che ha firmato la pace con Israele oltre vent’anni fa (sul trono sedeva Hussein, padre di Abdullah, simile carattere ma molto meno bravo con l’inglese del figlio educato in Inghilterra e negli Usa) è uno dei più stretti alleati statunitensi nella regione, ma ha anche profondi legami con il popolo palestinese: la stessa regina di Giordania Rania è palestinese, come del resto la metà della popolazione del regno discende dalla diaspora palestinese dopo la creazione di Israele. Secondo: è il primo incontro fra i due alleati da quando il mese scorso tre soldati americani sono stati uccisi da un drone in una base Usa in Giordania (attacco per cui Washington accusa le milizie filoriraniane).
Terzo: in questo ginepraio, scopo del vertice è almeno sostenere gli sforzi dell’amministrazione Biden per ottenere un’altra pausa nella guerra israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza, per inviare aiuti umanitari nella regione in cambio degli ostaggi israealini.
Quarto: la presenza di Abdullah a Washington, mentre a Gerusalemme Blinken e il premier israeliano Benjamin Netanyahu non tentano nemmeno di tenere conferenze stampa congiunte dopo i loro incontri, segnala la crescente irritazione di Joe Biden con l’alleato israeliano.
L’offensiva dello Stato ebraico nella striscia di Gaza è nata in risposta all’efferato attacco di Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre scorso; un attacco sconvolgente che ha ucciso circa 1200 persone fra stupri e violenze su bambini e neonati, e ha tratto in ostaggio centinaia di persone, solo in parte liberate.
Da allora Israele ha giurato di distruggere Hamas, al governo nella Striscia da quasi vent’anni. Ma la Striscia di Gaza è anche una prigione a cielo aperto che dipende per la sopravvivenza interamente dagli aiuti umanitari internazionali e dall’ok di Israele a farli entrare nel territorio, inclusa acqua, carburante, elettricità, forniture mediche. Dopo quasi quattro mesi di bombardamenti e avanzata progressiva dell’esercito da nord verso sud, i morti palestinesi si contano a decine di migliaia (quasi 30.000 secondo le cifre fornite da Hamas), le città sono distrutte, la popolazione è quasi interamente sfollata nel tentativo di sfuggire alle bombe ma non ha via d’uscita, le agenzie Onu lanciano da mesi allarmi circa il disastro della condizione sanitaria, alimentare, umanitaria.
La sopravvivenza politica di Netanyahu, al governo con diversi ministri estremisti di destra, dipende dalla continuazione dell’offensiva a Gaza; ma alcuni dei suoi ministri proclamano apertamente adesso che uno Stato palestinese non dovrà mai esistere. E per quanto la formula dei “due Stati” fosse diventata vuota e retorica di fronte alla situazione sul terreno, escluderla è un passo che gli Stati Uniti non possono accettare.
L’amministrazione Biden, in questo anno elettorale, è sempre più sotto pressione perché finora pur criticando implicitamente Israele, non ha ufficialmente richiesto un cessate il fuoco, ma solo “tregue umanitarie” (peraltro per lo più rifiutate da Netanyahu). Le critiche vengono non solo dalla comunità arabo-americana, tradizionale bacino elettorale democratico, ma da molti indipendenti a da molti democratici che chiedono una reazione netta alla Casa Bianca. Diversi comizi del presidente sono stati interrotti da manifestanti che vogliono una posizione diversa da Joe Biden.