Dal rosso di lotta a quello di bilancio il passo è breve.
Lo ha imparato letteralmente a proprie spese l’Amazon Labor Union (ALU), il primo sindacato nato per contrastare il gigante dell’e-commerce negli USA. Esauritosi infatti l’entusiasmo derivante dallo storico guanto di sfida a Bezos, l’ALU sta ora disperatamente cercando di far quadrare i conti – e non è ancora riuscita a negoziare un contratto collettivo con l’azienda di Seattle, secondo quanto dichiarato dai suoi dirigenti.
Parlando con il Wall Street Journal, la vicepresidente dell’ALU Michelle Nieves ha ammesso che l’organizzazione è “praticamente al verde”. Il leader Chris Smalls, ex dipendente di Amazon la cui rivolta nel 2020 ha innescato il processo di sindacalizzazione, ha spiegato che lo scorso anno la quantità di finanziamenti è drasticamente scesa rispetto al 2022, quando ha raccolto oltre 750.000 dollari in donazioni e dichiarato un patrimonio netto di circa 118.000 dollari.
Considerando che il sindacato non è ancora in grado di ‘tassare’ gli iscritti, poiché non ha raggiunto alcun accordo collettivo con Amazon, ciò è bastato a provocare una voragine per la sigla sindacale. La voce di spesa più cospicua è quella delle ingenti spese legali per tenere testa alla quarta azienda più importante del mondo.
Eppure è passato meno di un anno da quando i dipendenti dell’ALU di New York hanno votato a favore della sindacalizzazione presso il magazzino JFK8 dell’azienda a Staten Island. Tutt’altro che un plebiscito, dato che dei circa 8.300 dipendenti del magazzino, meno di 5.000 persone hanno partecipato alle elezioni di marzo – e appena 2.654 hanno votato a favore (2.131 i contrari).
Chi si attendeva un’onda rossa, destinata ad infrangersi su tutta la regione della Grande Mela e nel resto del Paese, è peraltro rimasto deluso. A i sogni di gloria sono stati i vicini lavoratori dello stabilimento ALB1 di New York, che qualche settimana dopo hanno votato contro la sindacalizzazione. Da allora, l’ALU non è riuscita a riprendere impeto.
L’obiettivo di Smalls è ottenere una migliore retribuzione e una maggiore stabilità lavorativa. Sin dall’inizio, tuttavia, Amazon ha adottato il pugno duro e distribuito propaganda antisindacale ai suoi dipendenti, avvertendoli che il pagamento delle quote sindacali avrebbe sottratto loro “centinaia di dollari ogni anno dalle busta paga” – e in maniera del tutto inutile.
Non solo. Il gigante dell’e-commerce ha anche lanciato una pagina web in cui accusa l’ALU di “fare grandi promesse ma di offrire pochi dettagli su come le realizzerà”. Il sito web sostiene che l’ALU “non ha mai gestito i milioni di dollari che riceverebbe dalle vostre buste paga” e che “non ha alcuna esperienza nel rappresentare gli associati, da nessuna parte”.
A meno di un rilancio dei finanziamenti, sembra quindi segnato in negativo il futuro dell’ALU – e forse anche quello del suo promotore Chris Smalls. Lo stesso che, nel 2020 aveva fatto scoppiare la scintilla con una protesta contro le cattive condizioni di lavoro che gli è costata il licenziamento. Smalls aveva però continuato imperterrito a presentarsi in magazzino per consegnare cibo ai lavoratori nell’area di pausa dello stabilimento JFK8, finché Amazon non ha chiamato la polizia e lo ha fatto incarcerare per violazione di domicilio.