Nei suoi quattro anni alla Casa Bianca Donald Trump ha trasformato la Corte Suprema nominando tre giudici conservatori che con le loro decisioni hanno cambiato la società americana rendendo più difficile l’interruzione della gravidanza, rallentando la lotta contro i cambiamenti climatici, ampliando il diritto di trasportare le armi, dando alla religione un maggior ruolo nelle scuole pubbliche, mettendo in dubbio la vaccinazione obbligatoria dei lavoratori contro il Covid, riducendo il potere delle agenzie federali e bocciando Affirmative Action, il trattamento preferenziale per le minoranze per entrare nelle università americane.
Nonostante questa linea conservatrice, la Corte Suprema ha finora respinto le richieste di Trump e dei suoi alleati di ribaltare la vittoria di Biden nel 2020.
E proprio oggi la Corte Suprema ha respinto la richiesta avanzata dal procuratore speciale Jack Smith, che aveva chiesto ai giudici di pronunciarsi velocemente su quanto affermato dagli avvocati di Trump, e dallo stesso ex presidente, secondo cui non può essere perseguito per i suoi tentativi di ribaltare la sua sconfitta elettorale nel 2020, perché era coperto dall’immunità presidenziale. Una interpretazione del privilegio che spetta al capo della Casa Bianca già respinta da un giudice federale e portata in appello dagli avvocati di Trump.
Smith aveva chiesto ai giudici della Corte Suprema di decidere subito, prima che la corte d’appello si pronunci, per abbreviare i tempi: perché si potrebbe arrivare al paradosso che l’ex presidente possa essere rieletto nel 2024 e poi, dopo l’elezione, essere dichiarato ineleggibile. Inoltre, se i magistrati avessero deciso ora che Trump era coperto dal privilegio presidenziale sarebbe caduto tutto il castello accusatorio sul coinvolgimento dell’ex presidente nell’assalto al Campidoglio.
Alla richiesta di Smith gli avvocati di Trump si erano opposti affermando che le regole andavano rispettate e non si poteva chiedere il giudizio della Corte Suprema senza attendere quello della Corte d’appello. E così è stato.
Il secondo caso, anche se finora gli avvocati di Trump hanno solo minacciato di rivolgersi alla Corte Suprema ma ancora non lo hanno fatto, riguarda la decisione della Corte Suprema statale del Colorado che ha giudicato l’ex presidente incandidabile in base al terzo comma del 14mo emendamento secondo cui chiunque sia coinvolto in insurrezioni o rivolte dopo aver giurato fedeltà alla Costituzione, non può candidarsi ad una carica pubblica federale.
L’emendamento fu progettato per impedire ai politici degli Stati confederati di tornare al governo dopo la guerra civile. La norma è stata utilizzata pochissime volte e solo nel decennio successivo alla Guerra di Secessione.
Le richieste alla Corte Suprema di intervenire nuovamente nelle vicende politiche fanno tornare in mente l’intervento degli alti magistrati alle elezioni presidenziali del 2000, quando con una discutibile decisione venne consegnata la Casa Bianca al repubblicano George W. Bush. Una delibera che ha avviato un solco ideologico, tracciato non solo dalle differenze filosofiche dei giudici, ma dai calcoli politici. Per riprendere una famosa citazione di Piero Calamandrei “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”. E ora la Corte dovrà pronunciarsi sulla decisione presa dai magistrati in Colorado, che mina il processo elettorale in tutto il Paese.
L’entrata della politica nelle decisioni della Corte Suprema mortifica l’indipendenza ideologica delle sentenze legate alle interpretazioni costituzionali. Ma non solo. I crescenti scandali etici sui giudici, sui loro poco chiari rapporti finanziari con miliardari conservatori, sui coniugi lobbisti, sull’appartenenza a discutibili gruppi religiosi, hanno prodotto un tribunale che spesso sembra essere arrabbiato, diviso e cinico, ma soprattutto di parte.
Nel 2016, l’allora leader di maggioranza del Senato, il repubblicano Mitch McConnell, varò una vera e propria crociata per rifiutare la nomina di Merrick Garland proposta da Barak Obama alla Corte Suprema dopo la morte di Antonin Scalia; motivo, mancavano solo nove mesi alle elezioni presidenziali. Fu il calcio alla porta da parte della politica per sfondare nel sistema giudiziario.
Secondo il buonsenso ci dovrebbe essere un prezzo politico da pagare per un presidente che si rifiuta di accettare il trasferimento pacifico del potere e incita un tentativo di colpo di stato per rimanere in carica. Così hanno deciso i giudici del Colorado. Così impone la ragione. Da capire ora se la penseranno così anche i giudici della Corte Suprema, o se continueranno a nascondersi.