Ozzie è morto l’anno scorso a 61 anni, il più vecchio gorilla mai conosciuto dall’uomo: viveva allo zoo di Atlanta. Un gorilla allo stato naturale può vivere trenta o quarant’anni; in cattività, la vita media si allunga. E negli zoo degli Stati Uniti, le terapie mediche per gli animali sono all’avanguardia…. tanto da porre qualche dilemma di natura etica, soprattutto di fronte ai primati che tanto somigliano all’uomo.
Allo zoo di San Diego, per esempio, c’è Winston: 51 anni, un magnifico gorilla silverback, tarda età per la sua specie. Soffre di qualche problema di cuore e gli è stato impiantato un monitor cardiaco – lo stesso apparecchietto che si usa per gli umani, grande come una pennetta, cambiato questo mese con anestesia totale, quattro punti, una intera équipe di quasi venti chirurghi. Quando nel 2021 il Covid ha colpito tutti i gorilla dello zoo, a lui, il più grave, è stata praticata una infusione di anticorpi monoclonali. È regolarmente vaccinato contro l’influenza (e contro il Covid, adesso), viene incoraggiato a muoversi per l’artrite, gli vengono somministrati ibuprofene e paracetamolo col cibo insieme ad altri farmaci per la pressione e il cuore.
Winston è un personaggio popolare, è il leader del suo gruppo di 6 esemplari, e in particolare ha un rapporto stretto da 25 anni con una femmina, Kami; ma ha anche accolto due giovani gorillini tirandoli su come fossero suoi, dicono i curatori dello zoo. Tutte queste terapie non sono gratis: costano care alla San Diego Zoo Wildlife Alliance, l’organizzazione che controlla lo zoo e il safari park. Ci sono anche donazioni che aiutano.
Ma fra tanti test, una Tac ha rivelato che c’è un tumore nel rene destro di Winston. E qui, data la sua età, i dilemmi etici sono stati più tormentosi, molto simili a quelli che si affrontano con un parente molto anziano. Quando le cure diventano accanimento terapeutico? Quando il gioco vale la candela?
“Ci siamo detti, operiamo?” ricorda Matt Kinney, veterinario dello zoo, parlando con il New York Times. “Il problema era la convalescenza e il recupero”. Considerata l’età, l’aspettativa di vita, e il fatto che il tumore appariva fermo, “abbiamo deciso di continuare a monitorarlo”.
L’invecchiamento di un primate è sottoposto a meno rischi di quello di un umano, soprattutto nell’ambiente protetto dello zoo (peraltro, “zoo” è un termine che oggi piace poco: si preferisce “parco naturale” o una perifrasi che indichi le finalità di conservazione delle specie). I gorilla non fumano, non mangiano junk food. Winston in verità mangia per lo più ramoscelli e ortaggi, vive in un appezzamento di un paio di chilometri quadrati, la cosiddetta Gorilla Forest, con colline, alberi e uno stagno.
Come per gli umani, la qualità delle cure geriatriche continua a perfezionarsi e le scoperte mediche che si applicano agli umani funzionano anche per i gorilla. Ma prima o poi diventa una questione di qualità di vita: fino a quando Winston riuscirà ad essere il maschio alfa nel suo gruppo? Potrebbe morire di morte naturale come Ozzie, o come Colo, che aveva 60 anni quando se ne andò dal Columbus Zoo in Ohio nel 2017. Se invece cominciasse a soffrire, una soluzione c’è e sarebbero i medici a decidere. In California l’eutanasia degli umani è illegale. Per Winston è una possibilità. “Un privilegio della medicina veterinaria” dice Kinney, “e con i privilegi viene una grande responsabilità”. Quella che ogni padrone di animale si prende per un essere amato che soffre.
Ci sono circa 350 gorilla negli zoo degli Stati Uniti, e 930 grandi scimmie in totale, fra cui bonobo, oranghi e scimpanzé. Curati bene o no, molti gruppi per la difesa degli animali ribadiscono che il loro posto è in natura. In alternativa, un geriatra di alto livello non è una cattiva soluzione.