Basta al lavoro gratis in carcere: lo dicono gli attuali e gli ex detenuti dell’Alabama, che assieme a alcune organizzazioni sindacali hanno intentato un’azione legale collettiva per porre fine al sistema di lavoro forzato che interessa le prigioni dello stato.
La causa rivolta ai franchising di fast food – fra cui McDonald’s, KFC, Burger King e Wendy’s – e altri beneficiari del sistema di lavoro carcerario, vuole smantellare quella che viene ritenuta una nuova “forma di schiavitù” – calcolata in introiti per $450 milioni – verso le persone detenute costrette a lavorare spesso gratuitamente.
La vertenza depositata presso una Corte distrettuale degli Stati Uniti, per il Dipartimento Centrale dell’Alabama, oltre a chiedere un risarcimento per i prigionieri interessati dal lavoro obbligatorio, vuole porre l’attenzione su un sistema definito discriminatorio.
“Da un latoci si fida di loro per svolgere lavori per lo stato – si legge nei documenti del tribunale – dall’altro le amministrazioni locali e una vasta gamma di datori di lavoro privati, hanno sistematicamente creato condizioni per limitare o impedire la concessione di libertà condizionale”.
Fra il primo gennaio e il 31 luglio 2021, il Board of Pardons and Paroles ha negato la libertà condizionata al 90% dei richiedenti neri, rispetto al 77% dei richiedenti bianchi. Nella controversia si paragona inoltre l’attuale sistema di lavoro a quello di “locazione dei detenuti”, applicato successivamente alla Guerra Civile, in cui gli stati del sud affittavano i prigionieri da impiegare nelle ferrovie private, nelle miniere o nelle piantagioni di cotone, esponendoli a condizioni lavorative talvolta pericolose se non addirittura mortali.
Nei documenti depositati in tribunale vengono sottolineate le condizioni antigieniche e di violenza a cui tuttora i prigionieri sono sottoposti, come già evidenziato in un rapporto del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti del 2019.
Fra i querelanti anche Robert Earl Council, detenuto da 29 anni nella colonia penale di Limestone Correctional Facility. Council è uno dei fondatori del Free Alabama Movement – un’associazione americana costituita per tutelare i diritti dei detenuti – che cerca di porre fine all’incarcerazione di massa e al lavoro obbligato nelle carceri.
Oltre alle catene alimentari risultano citati in giudizio anche la governatrice dell’Alabama Kay Ivey, il procuratore generale dello stato Steve Marshall, il Dipartimento di correzione dell’Alabama, il presidente dell’Alabama Board of Pardons and Paroles, le città di Troy e Montgomery, la contea di Jefferson e il Dipartimento dei trasporti dell’Alabama.
Circa 575 datori di lavoro privati e oltre 100 pubblici hanno affittato manodopera dalle carceri dell’Alabama nel 2018 e secondo l’American Civil Liberties Union – un’organizzazione non governativa orientata a difendere i diritti civili e le libertà individuali – due su tre degli oltre 1,2 milioni di detenuti sarebbero lavoratori.
Il sistema non è applicato solo in Alabama. Dal rapporto dell’ACLU emerge che i carcerati guadagnano, in media, dai 13 ai 52 centesimi l’ora ma in sette Stati dell’Unione se la maggior parte di essi non viene neppure pagata e il governo può prendere fino all’80% dei salari per “vitto e alloggio”, spese processuali, e accessorie.
Mentre le imprese, e i sistemi carcerari – grazie ai detenuti – a livello nazionale riescono a guadagnare oltre $2 miliardi all’anno in beni, e oltre $9 miliardi in servizi per il mantenimento dei penitenziari, il lavoro carcerario si conferma un elemento primario, seppure sommerso, utilizzato per la produzione di beni in tutto il paese.