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December 3, 2023
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December 3, 2023
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Un ospedale evacuato a Gaza e le fragili vite perdute di quattro neonati

Il Washington Post ricostruisce una storia terribile durante i bombardamenti israeliani

Alessandra QuattrocchibyAlessandra Quattrocchi

I neonati prematuri evacuati da al-Shifa vengono preparati per il trasferimento in Egitto all'ospedale della Mezzaluna Rossa emiratina a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. 20 November 2023. Ansa/EPA/HAITHAM IMAD

Time: 3 mins read

Questa non è una storia a lieto fine. Qualche giorno fa è circolata la notizia di quattro neonati ritrovati morti dentro un ospedale a Gaza. Come tutte le notizie che emergono dalla Striscia, era difficile verificarla e risalire alle fonti.

Il Washington Post ci è riuscito e racconta il dramma di quei bambini e di un infermiere incaricato di occuparsi dei neonati prematuri, che ha dovuto prendere la decisione più difficile della sua vita.

Dell’uomo non si conosce il nome: preferisce rimanere anonimo. Era in servizio in novembre, al culmine dei bombardamenti israeliani su Gaza City, all’ospedale pediatrico al-Nasr della città, uno dei nosocomi sotto cui Hamas secondo Israele aveva stabilito un centro di comando.

Il giorno prima, i carri armati israeliani avevano circondato il complesso e l’esercito aveva telefonato e mandato messaggi ai medici chiedendo di evacuare il luogo. Ma i medici rifiutavano di abbandonare i pazienti e le ambulanze non potevano raggiungere al-Nasr.

I medici continuavano a somministrare ossigeno ai cinque neonati prematuri a intervalli regolari. Da settimane non si avevano notizie dei genitori; l’infermiere dice, “erano tutti sfollati, avevano lasciato i neonati pensando che fossero al sicuro”. In ospedale non avevano respiratori portatili o incubatrici per trasportarli. Il direttore dell’ospedale, Bakr Qaoud, racconta al Washington Post di aver ricevuto un ultimatum il 10 novembre: andatevene entro mezz’ora o vi bombardiamo. Un funzionario israeliano avrebbe promesso che le ambulanze per i pazienti sarebbero arrivate.

L’infermiere, un palestinese che lavora con l’ong francese Medici senza Frontiere, ha deciso di portare via il bambino più robusto, quello che aveva più chance di resistere senza ossigeno; ha lasciato gli altri attaccati alle macchine e si è diretto a sud con la moglie, i suoi figli e il neonato. “Mi è sembrato di abbandonare i miei figli. Se avessi potuto li avrei portati via tutti, ma se li avessi staccati dall’ossigeno sarebbero morti”.

Sapeva, l’esercito israeliano, che quattro neonati erano lì? Un funzionario del vicino ospedale oncologico pediatrico al-Rantisi afferma di aver ricevuto assicurazioni dal COGAT, il centro di coordinamento territoriale del ministero della Difesa israeliano, che i pazienti sarebbero stati prelevati da entrambi i nosocomi; in una telefonata registrata e diffusa dall’esercito, un ufficiale risponde “no problem” in arabo.

Tuttavia, una portavoce del COGAT ha detto al Washington Post che l’esercito non ha chiesto ai medici dell’al-Nasr di andarsene, né ha operato all’interno dell’ospedale.

L’infermiere, cominciato il viaggio a piedi verso sud, ha incontrato un’ambulanza che ha portato l’unico neonato estratto all’ospedale di al-Shifa, il più grande di Gaza City; anche quello pochi giorni dopo sotto assedio. L’OMS, l’Organizzazione mondiale per la salute, il 19 novembre è riuscita a evacuare in Egitto 31 mini-pazienti dal reparto prematuri di al-Shifa in un’operazione molto pericolosa e concordata dopo lunghe trattative; diversi neonati erano già morti per la mancanza di ossigeno ed elettricità nell’ospedale.

Il 24 novembre, dopo sette settimane di combattimenti, Hamas e Israele si sono accordati per una tregua con scambio di ostaggi e prigionieri. Era difficile avvicinarsi all’ospedale al-Nasr, ma Mohammed Balousha, reporter del canale di Dubai Al-Mashhad, ha deciso di provarci perché gli avevano detto che c’erano dei neonati prematuri lì e nessuno li aveva portati via: era “la storia più forte”, dice. Non sapeva quanto forte.

Arrivato all’ospedale saltando muri e passando fra le macerie, è salito alla terapia intensiva neonatale, ha detto, e ha cominciato “a sentire un odore terribile”. Aveva la telecamera, l’ha accesa. Il video è stato trasmesso da Al-Mashhad, ma con le immagini pixelate.

Il Washington Post ha visto la versione originale e ha potuto verificare che è stato girato in quel reparto, comparandolo con immagini precedenti alla guerra.

Quello che resta sui letti, ancora attaccato ai respiratori, non ha somiglianza a corpi umani, scrivono i giornalisti del Post. Sembrano montagnole di carne marcia da cui spuntano ossa, avvolte da pannolini sporchi: i corpi dei quattro neonati in avanzato stato di decomposizione, come dice il linguaggio medico legale. Morti da soli e secondo Balousha, mutilati da cani randagi.

Sabato, in una live chat su X, la portavoce dell’esercito israeliano Doron Spielman è parsa gettare dubbi sull’intera vicenda e non solo sulle eventuali responsabilità israeliane. “Non ci sono neonati prematuri in decomposizione per colpa dell’IDF”, ha detto, “e probabilmente non c’è stato nessun neonato in decomposizione”.

Anche l’infermiere neonatale ha visto il video. I corpi, ha detto, sono lì dove ha lasciato i piccoli. Nessuno è venuto a prenderli. “Di che erano colpevoli”, chiede. “Aveva le armi in mano? Stavano lanciando razzi?”

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Alessandra Quattrocchi

Alessandra Quattrocchi

Giornalista e scrittrice, si occupa di politica nazionale e internazionale, cultura, società lingua e letteratura Alessandra Quattrocchi is a journalist, essayist, videomaker and storyteller. She deals mainly in politics, literature and the arts.

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