Degli effetti che la guerra in Medio Oriente ha provocato negli atenei americani grandi e piccoli, come delle tante dimostrazioni studentesche a favore dei palestinesi o del diritto di Israele a difendersi dopo un brutale attacco terroristico si è parlato molto nelle ultime settimane. Adesso, però, il discorso sulle conseguenze che la guerra sta avendo nei campus di tutti gli Stati Uniti e sulle responsabilità dei dirigenti per evitarle, o almeno mitigarle, sta diventando di giorno in giorno più drammatico.
Secondo due inchieste parallele effettuate dalla ADL, la Antidefamation League, e dal Council on American Islamic Relations, sia gli studenti ebrei che quelli palestinesi, musulmani o arabi hanno denunciato un clima crescente di ostilità nei loro confronti che è arrivato alle minacce, alle aggressioni e alla diffusione dei loro dati personali sui siti online. Più del 70 per cento degli intervistati ha raccontato di essere stato vittima o testimone di un episodio di antisemitismo.
In due sondaggi condotti in tempi diversi, il primo tra luglio e agosto di quest’anno e il secondo dopo l’attacco del 7 agosto, l’ADL ha intervistato oltre 3.000 studenti, di cui 527 ebrei, in 689 diversi campus universitari e disegnato un quadro allarmante. Nel primo sondaggio, infatti, il 67 per cento degli studenti ebrei aveva dichiarato di sentirsi “fisicamente al sicuro” nel campus, ma la percentuale è bruscamente scesa al 46 per cento solo due mesi dopo. E se una percentuale simile aveva giudicato la propria università accogliente e di supporto nel primo sondaggio, la cifra è scesa dopo il 7 ottobre al 44 per cento; solo un preoccupante 39 per cento è a suo agio nel dichiararsi ebreo. Un’ansia del tutto simile, unita all’incertezza sulla capacità degli atenei di difenderli, l’hanno mostrata in parallelo anche gli studenti palestinesi e arabi nelle inchieste dell’organizzazione islamica.
Di fronte alle denunce e all’aumento della tensione, le reazioni hanno cominciato ora a essere più decise.
Pochi giorni fa , oltre 1400 ex alunni, genitori e insegnanti hanno per esempio firmato un modulo in supporto della lettera inviata già il 20 di novembre al presidente di Yale, Peter Salovey, e all’amministratore Scott Strobel, per accusarli di aver ”abdicato alle proprie responsabilità” di assicurare a tutti gli allievi l’ambiente giusto per studiare e maturare.
“’Scriviamo perchè come comunità di Yale, ebrei e non ebrei”, ”siamo stati profondamente rattristati nel vedere l’ondata di antisemitismo che ha sommerso i campus di tutti gli Stati Uniti’, si legge nella lettera, “in essenza, anche Yale ha permesso a crescita di un clima di ostilità contro gli ebrei e i sostenitori di Israele”.
Lettere simili firmate da quasi duemila studenti, tra l’altro , sono state inviate anche a Harvard e a Princeton. Nella loro denuncia, i firmatari hanno messo l’accento sul silenzio dei dirigenti universitari nei confronti degli insegnanti che hanno pronunciato discorsi considerati nettamente schierati e degli studenti che hanno usato toni razzisti o minatori durante le loro manifestazioni.
Con parole altrettanto chiare, anche il CAIR ha protestato in una lettera firmata dal suo direttore Hussam Ayloush contro la retorica antipalestinese che accumuna la popolazione innocente diGaza a Hames e ha chiesto misure protettive per difendere gli studenti dall’ondata di odio.
Di fronte a un problema che, al di là delle parole, le universita’ piccole e grandi non sembrano in grado di risolvere alla radice, ora ha cominciato a muoversi anche l’amministrazione americana. La settimana prossima, i presidenti di Harvard, del Massachussets Institute of Technology e dell’Università delle Pennsylvania andranno a testimoniare di fronte alla Commissione Istruzione della Camera sulle proteste antisemite nei loro prestigiosi atenei.
“Nelle ultime settimane, abbiamo visto innumerevoli esempi di dimostrazioni antisemite nei campus”, ha spiegato la presidente della Commissione, la repubblicana Virginia Foxx, “nel frattempo, gli amministratori dei college sono stati silenziosi, permettendo a questa orrenda retorica di crescere. Adesso è venuto il momento che i leaders universitari facciano le azioni appropriate per garantire un ambiente sicuro per i loro studenti e il loro staff.
Prendere le iniziative adeguate, però, non è facile per i dirigenti delle università, che sono spesso obbligati dal loro stesso statuto a garantire la libertà di espressione a tutti i loro studenti per favorire l’inclusività. Per rispondere alle pressioni provenienti da esponenti politici come Mitt Romney o ex alunni finanziatori qualche misura punitiva è stata presa nei casi più clamorosi di incitazione all’odio da parte degli studenti o degli stessi insegnanti . Ma la strada sarà certo ancora lunga.