La violenza contro le donne come arma di guerra. Un’arma che non è purtroppo nuova, era già stata usata per esempio in Bosnia negli anni ’90, ma che ha raggiunto un apice di brutalità durante l’attacco del 7ottobre e rischia ora di aprire un nuovo solco nel già difficile rapporto tra Israele e l’ONU.
A mettere in luce la storia in termini drammatici è stato Jewish Insider, un sito americano di approfondimento delle notizie politiche, sociali e economiche che hanno un interesse ebraico.
Da quando i miliziani di Hamas hanno lanciato il loro brutale attacco contro lo stato ebraico, ha raccontato il sito in un lungo e dettagliato servizio, le prove delle orribili violenze nei confronti delle donne hanno cominciato ad accumularsi. Ai poliziotti israeliani che indagano sui massacri, le testimonianze dei sopravvissuti e i video girati dagli stessi terroristi hanno raccontato una storia di vittime violentate, smembrate e poi uccise, qualche volta mentre gli stupratori erano ancora impegnati nel loro turpe esercizio. “In 38 anni di servizio nelle forze di sicurezza, non ho mai visto tanta crudeltà”, ha raccontato il capo della polizia israeliana Kobi Shabtai. “Ci sono stati atti sessuali sadici, smembramenti. Il ventre di una donna è stato aperto e il suo bambino estratto”.

Adesso, le forze di sicurezza israeliane stanno esaminando oltre 60.000 immagini video e un migliaio di testimonianze per dettagliare ogni caso e raccogliere le prove per una possibile, anche se improbabile, incriminazione di ogni singolo colpevole. Le donne stuprate sono state tutte uccise, o almeno così sembra: “Molti sopravvissuti hanno difficoltà a parlare a causa del trauma subito e molti probabilmente finiranno per non testimoniare”, ha ammesso Shabtai.
Al di là della comprensibile volontà di documentare una feroce violenza sessuale volutamente utilizzata come arma di guerra, lo sforzo dei poliziotti israeliani sta però aprendo anche un discorso molto più ampio a livello internazionale.
A farsene portavoce è stata per prima Cocha Elkayam-Levy, un’esperta di diritti umani alla Hebrew University, che ha fondato un’organizzazione, la Civic Commission on October 7th Crimes by Hamas, proprio con l’obbiettivo di far conoscere il dramma delle donne israeliane a un pubblico più vasto che potrebbe, in un domani, esserne ugualmente vittima. “I terroristi interrogati dallo Shin Bet hanno confessato di aver ricevuto dei chiari ordini di violentare e prendere di mira le donne, è stata insegnata loro la traduzione in ebraico della frase ‘’togliti i vestiti’”, ha raccontato la giurista.

Purtroppo, lo sforzo dell’insegnante israeliana si è scontrato contro le indubbie resistenze di una Onu concentrata in questo momento sul dramma palestinese e poco incline a mettere l’accento sulle brutalità subite dall’altra delle parti in conflitto.
Per raggiungere il suo obbiettivo, Elakyam-Levy ha contattato il largo circolo dei suoi colleghi esperti di legge internazionale e ha inviato un primo rapporto alle agenzie dell’Onu per sollecitare una condanna o almeno un commento. Poi, di fronte a una mancata risposta, ne ha inviato un secondo, più completo e firmato da 160 professori di legge internazionale. Il risultato, però, è stato di nuovo un assordante silenzio.
”Abbiamo descritto i crimini di guerra commessi in Israele. Abbiamo dato le prove per ogni singolo evento di cui abbiamo parlato e lo abbiamo mandato a molti alti funzionari dell’Onu ma non abbiamo avuto nessuna risposta. È stato e è tuttora scioccante”, si è lamentata la giurista israeliana.

Al silenzio dei funzionari Onu, d’altra parte, si sono uniti altri silenzi. In preparazione dell’International Day Against Gender Based Violence previsto per il 25 di novembre, per esempio, UN Women ha diffuso due diversi rapporti, entrambe sulle donne palestinesi, ma non ha fatto cenno ai crimini di Hamas. E altrettanto è successo nel rapporto pubblicato dopo una conferenza dedicata all’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e a cui la stessa Elkayam-Levi ha partecipato.
Malgrado la delusione per il silenzio dell’Onu, la battaglia per far capire al mondo che la tragedia delle donne israeliane è un monito per tutti, e soprattutto per tutte le donne, è certamente destinata a continuare.
“Questo non è stato solo un crimine contro Israele e il popolo ebraico, è stato un crimine contro tutto quello in cui crediamo, è la guerra delle democrazie liberali occidentali contro il terrore e non è un peso che possiamo caricarci da soli”, ha spiegato l’esperta di diritti umani.