Come è potuto succedere? La strage compiuta da Hamas in Israele il 7 ottobre è il frutto di molteplici fallimenti da parte dell’intelligence israeliana. Il New York Times se ne occupa con un lungo articolo a sei mani che mette a nudo una verità di fondo: Israele sia a livello militare che di governo pensava che Hamas non potesse costituire una seria minaccia.
Tanto che la notte dell’assalto, alle tre, il capo della sicurezza interna Ronen Bar ha osservato l’insolita attività al confine con la Striscia pensando che si trattasse di una esercitazione, e anche se per sicurezza ha ordinato il dispiegamento alla frontiera degli uomini del Tequila, unità di élite anti-terrorismo, la prima telefonata al premier Netanyahu è arrivata solo a ridosso dell’assalto. Nel giro di due ore, i soldati del Tequila stavano combattendo con migliaia di militanti di Hamas: l’assalto ha perforato la frontiera con camion e motociclette spingendosi ai villaggi, alle basi militari, ai kibbutzim del sud di Israele, uccidendo e massacrando oltre 1.400 persone, fra cui donne anziani e bambini. Centinaia di persone sono ancora in ostaggio a Gaza.
https://youtu.be/SArXdH0Dxzs?si=NJyG4C3KAPyGCEKF
Le autorità hanno promesso una inchiesta ad ampio raggio, ma intanto il senso di sicurezza di Israele è andato in frantumi come non succedeva dal 1973, quando nella Guerra dello Yom Kippur lo Stato ebraico fu attaccato a sorpresa da Egitto e Siria.
Questi sono i punti chiave secondo l’inchiesta del Times: un mix letale di superficialità e arroganza.
-Unit 8200, l’agenzia d’intelligence per le comunicazioni, aveva smesso di ascoltare i messaggi radio di Hamas un anno fa perché pensava fosse una perdita di tempo.
– Nonostante le note capacità tecnologiche di Israele in materia di spionaggio, Hamas è riuscita ad addestrare uomini per l’assalto per almeno un anno senza farsi scoprire. L’attacco è stato condotto da gruppi ognuno con obbiettivi precisi grazie a una conoscenza meticolosa delle basi militari e dei kibbutzim.
– La politica interna del premier Benjamin Netanyahu, inclusa la sua contestatissima riforma della giustizia, ha provocato manifestazioni oceaniche che hanno indebolito la coesione del paese e incoraggiato il nemico. La sicurezza israeliana lo ha spiegato varie volte al premier, che il 24 luglio ha anche rifiutato di incontrare il generale Aharon Haliva, capo del Direttorato dell’intelligence dell’esercito israeliano, che voleva sottoporgli delle informazioni top secret in materia. Uno dei documenti nella valigetta di Haliva affermava che l’”asse di resistenza” – Iran, Siria, Hezbollah e la Jihad islamica palestinese – era convinto che Israele attraversasse un momento di grande fragilità.
-A quanto riferiscono cinque diverse fonti, dal maggio 2021, l’intelligence militare era convinta che Hamas non avesse interesse ad effettuare un attacco che avrebbe provocato una reazione israeliana devastante; pensavano invece che avrebbe fomentato la rivolta in Cisgiordania, il territorio governato dai suoi rivali, l’Autorità nazionale palestinese.
– La convinzione di Netanyahu e dei vertici militari che la maggiore minaccia allo Stato ebraico venisse dall’Iran e dai militanti di Hezbollah in Libano – da cui si temeva un attacco imminente – ha distolto l’attenzione dalla Striscia di Gaza e da Hamas.
– Anche le agenzie degli Stati Uniti avevano smesso da anni di raccogliere intelligence su Hamas, convinte che fosse una minaccia regionale ben gestita da Israele.
Mentre molti alti ufficiali dell’esercito hanno fatto mea culpa, il premier se ne è guardato bene. Richiesto di un commento dal New York Times, ha twittato invece su X scaricando la colpa sui servizi di intelligence che non gli avrebbero dato sufficienti informazioni – tweet che poi è stato cancellato, ma che diceva in ebraico “In nessun momento il primo ministro Netanyahu è stato avvertito che Hamas avesse intenzioni di guerra. Anzi, la convinzione di tutta la gerarchia della sicurezza inclusi il capo dell’intelligence militare e il capo dello Shin Bet, era che Hamas fosse sotto controllo e cercasse di patteggiare”.

Ma l’azione del governo, dice il NYT, c’entra eccome. Intanto, è stato Netanyahu a concentrarsi sulla minaccia iraniana. Inoltre, andando per punti:
-Alcuni alti militari e i vertici dello Shin Bet avevano osservato con preoccupazione le manovre militari di Hamas alla frontiera. Il già citato generale Aharon Haliva in una cerimonia militare l’11 settembre ha detto pubblicamente “Dobbiamo essere più preparati che mai per un conflitto militare ampio su vari fronti”. Alcuni alleati politici del premier lo hanno criticato in televisione.
– Anche la Giordania, custode dei luoghi sacri dell’Islam, aveva segnalato a Israele la pericolosità dei raid israeliani sulla spianata delle moschee, considerati una provocazione dai palestinesi.
– Israele sapeva che Hamas, sostenuto dall’Iran con fondi e armi, stava diventando più forte, ma era convinta di poter contenere la minaccia con il suo network di spie, la sua intelligence tecnologica sofisticata e il “muro” costruito al confine con la Striscia.
– Ultimo ma non di minore importanza: mentre Netanyahu ha sempre attaccato pubblicamente Hamas come un regime terrorista promettendo di combatterlo, nei fatti lo ha anche considerato uno strumento per controbilanciare il potere dei suoi rivali dell’Autorità Nazionale Palestinese che, guidata dall’ormai anziano presidente Mahmoud Abbas, ha il controllo amministrativo della Cisgiordania. Il premier, dice il New York Times, ha spiegato ai suoi uomini che una ANP indebolita significava minore pressione sul governo israeliano a fare concessioni ai palestinesi in caso di negoziati.