L’esercito israeliano ha condotto una breve incursione di terra nel nord della Striscia di Gaza nella notte tra mercoledì e giovedì, bombardando diverse postazioni di Hamas per “preparare il campo di battaglia” di un’invasione militare avvertita ormai come imminente dopo quasi tre settimane di raid aerei.
Durante il blitz notturno, Tsahal sostiene di aver colpito combattenti, infrastrutture dei militanti e postazioni di lancio di missili anticarro. Un blitz che arriva al termine di una giornata durante la quale, secondo il ministero della Sanità di Gaza (che fa capo ad Hamas), nella Striscia sarebbero state uccise più di 750 persone – portando il totale complessivo di morti stimati dal ministero medesimo ad oltre 6.500.
A ribadire l’urgenza dell’operazione di terra è stato mercoledì anche il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che in un discorso televisivo ha confermato che Israele si sta “preparando” all’invasione e che i nuovi bombardamenti aerei “sono solo l’inizio”. Secondo le stime israeliane, più di 1.400 abitanti dello Stato ebraico sono stati uccisi dallo scorso 7 ottobre, e più di 200 persone sono ancora tenute in ostaggio a Gaza.
La situazione nell’enclave ad altissima densità abitativa rimane intanto estremamente grave. E con decisi margini di peggioramento, dal momento che nelle scorse ore le Nazioni Unite hanno dovuto ridurre drasticamente le attività umanitarie per mancanza di carburante e generi di prima necessità a causa del blocco israeliano.
Circa 1,4 milioni dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono fuggiti dalle loro case dall’inizio del conflitto, e quasi la metà di loro si è rifugiata nei campi allestiti proprio dall’ONU. Centinaia di migliaia di persone sono invece rimaste nel nord di Gaza, nonostante Israele abbia ordinato loro di evacuare verso sud, affermando che coloro che rimangono potrebbero essere considerati “complici” di Hamas.

Mercoledì il presidente statunitense Joe Biden si è soffermato brevemente, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il premier australiano Anthony Albanese, sulla necessità di risolvere alla radice il conflitto.
“Israeliani e palestinesi meritano di vivere fianco a fianco in sicurezza, dignità e pace”, le sue parole. Il leader della Casa Bianca ha quindi dichiarato di ritenere che uno dei motivi per cui i miliziani filo-iraniani di Hamas abbiano attaccato Israele fosse quello di impedire la normalizzazione delle relazioni tra lo Stato ebraico e l’Arabia Saudita – il che avrebbe isolato.
Secondo il Wall Street Journal, Israele avrebbe segretamente accettato di ritardare l’invasione di Gaza fino a quando i sistemi di difesa aerea USA non saranno posizionati nella regione per proteggere le forze americane da eventuali attacchi esterni. La prospettiva di un allargamento regionale della guerra è infatti sempre più concreta.
A crederlo è anche il presidente russo Vladimir Putin, secondo cui “un’ulteriore escalation della crisi è gravida di conseguenze gravi ed estremamente pericolose e distruttive. E non solo per la regione mediorientale”. “Il nostro compito principale è quello di fermare lo spargimento di sangue e la violenza”, ha detto Putin in un incontro con i leader religiosi russi di diverse fedi, secondo una trascrizione del Cremlino.
Il conflitto, in realtà, ha già da tempo superato i confini palestinesi. Sono ormai quasi quotidiani gli scontri a fuoco tra Israele e i miliziani filo-iraniani di Hezbollah, in Libano, oltreché contro l’esercito siriano.
Il timore delle autorità americane è che, una volta partita l’invasione di terra, l’Iran e le organizzazioni islamiste filo-Teheran possano prendere di mira proprio le forze americane di stanza in Medio Oriente.