Come sono questi giorni di attesa, che poi di attesa non sono perché i bombardamenti continuano, i morti aumentano ma sembrano una contabilità secondaria perché intermedia rispetto a quello che sarà. Anche l’idea che l’operazione di terra per ora è rinviata non cambia la certezza che l’attesa é solo prepararsi all’inevitabile.
E questo inevitabile ha il sapore il destino l’odore di morte ma nessuno sembra potere e volere fermarlo. Anzi, ci sono stati divani di talk show, dal nostro paese per esempio, con ospiti che ben seduti e al sicuro pontificavano sulla necessità immediata di rispondere al massacro del 7 ottobre, all’orrore di Hamas che ha terrorizzato -si è stato proprio letteralmente terrorismo- uomini donne e bambini di Israele. Vedrete lo faranno e subito, ne siamo sicuri, ne hanno tutto il diritto. E per giorni contavano le ore all’attacco dato ogni volta per imminente. E invece l’orologio dell’inevitabile per ora sembra rallentare, perché Israele sa che la sua risposta sarà difficile, e soprattutto non sa come andrà a finire.
C’è la tragica partita a scacchi degli ostaggi, c’è il pericolo che si apra il fronte del nord con il Libano di Hezbollah, ci sono le minacce dell’Iran e le piazze di quei paesi arabi che sembrano sconfessare la voglia di fare affari dei loro governi e spingerli a tirare fuori dai cassetti di nuovo la bandiera palestinese. E ci sono le armi americane che devono arrivare per essere sicuri di poter gestire almeno militarmente l’inevitabile. Ma mai come stavolta l’inevitabile non sa prevedere il suo futuro. Si ammassano i carri lungo il confine della striscia ma la paura di essere diventati vulnerabili, il dolore e la rabbia per i propri morti indifesi da un governo che mandava invece l’esercito a proteggere quei coloni, specchio rovesciato dell’odio di Hamas, tutto questo rende Israele un paese ferito nel corpo e nel cuore, con risultati imprevedibili.
E poi ci siamo noi opinioni pubbliche del mondo che non riusciamo a dire fermatevi, che consideriamo dieci camion di aiuti una vittoria -e in effetti è così- ma ce ne vorrebbero mille e aspettiamo l’inevitabile chiudendo gli occhi e sperando che finisca presto. Ma nonostante tutto li sentiamo i fischi dei razzi, il rumore delle bombe, le grida e i pianti nei kibbutz e tra le macerie di Gaza city, li vediamo quei bambini in Israele e Palestina che chiamano e noi che rispondiamo balbettando che l’inevitabile non si può evitare.