La situazione dei migranti negli Stati Uniti sta sfuggendo di mano. A differenza della stretta alle frontiere che caratterizza tutto il continente americano, il Brasile potrebbe essere un esempio da seguire. La più grande economia dell’America Latina ha saputo sfruttare la grave crisi migratoria come un’opportunità per far fiorire il settore agroalimentare (è il principale esportatore di carne bovina e di pollo nel mondo). Più di 114.000 persone sono state ricollocate, soprattutto nel sud, presso le più grandi aziende nella lavorazione di carne oppure nei raccolti, e altrettante sono in attesa nei centri di impiego alla ricerca di lavoro.
Il programma di inserimento brasiliano, chiamato “Operação Acolhida” (“Operazione Accoglienza”), finanziato anche dall’UNHCR, è durato nonostante la pandemia per ben tre mandati diversi, con presidenti di destra, estrema destra e sinistra. Ed è un caso unico. Infatti, le interviste con aziende e reclutatori privati vengono fatte direttamente dai campi di accoglienza a Roraima, che è lo snodo nella parte nord del Brasile: i nuovi arrivati si mettono a disposizione e i centri di logistica cercano di rispondere alle loro richieste smistandoli con le domande che arrivano da tutto il Paese. Nel frattempo, vengono istruiti sulle leggi brasiliane, sui documenti e i vaccini necessari per poter lavorare. Una volta assunti, i migranti verranno anche accompagnati alla loro ultima destinazione – il governo brasiliano si fa carico di coprire tutte le spese per il volo e per gli spostamenti.
Prendiamo il caso dei migranti venezuelani, che ultimamente sono i più numerosi. Più di 7,7 milioni di persone escono dal Venezuela in cerca di un posto migliore, e solo negli ultimi nove mesi, più di 260.000 venezuelani hanno tentato di attraversare la giungla verso gli Stati Uniti, secondo i dati del governo di Panama. Il Brasile, che è il quarto Paese per numero di accoglienza, dopo Colombia, Perù e USA, è riuscito già a ricollocarne più di un terzo dal 2018, considerando che fino allo scorso settembre – quando l’amministrazione Biden ha permesso l’ingresso a 500.000 persone con un visto lavorativo di 18 mesi – erano 2,8 milioni le persone in attesa al confine con gli Stati Uniti.