È ormai avvertita a più parti come imminente l’invasione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano. L’obiettivo conclamato è quello di “sradicare” le milizie islamiste di Hamas, come ha spiegato qualche giorno fa il ministro dell’Intelligence Gila Gamliel all’AFP, otto giorni dopo la più grave serie di attentati in territorio israeliano compiuti dal movimento pro-palestinese.
E l’impressione è che la temuta incursione sia appena questione di ore, se non di minuti. I soldati di Tsahal sono in gran parte ammassati lungo il confine di Gaza e hanno effettuato esercitazioni per ‘abituarsi’ alle condizioni impervie dell’enclave di 2,3 milioni di persone.
Nelle scorse ore gli israeliani hanno lanciato volantini su Gaza City, a nord, e ribadito l’ordine di evacuazione verso sud a più di 1 milione di palestinesi – quasi la metà della popolazione del territorio. “Restate nelle vostre abitazioni” è stato invece il contrordine di Hamas, che ha invece invitato i connazionali a non farsi prendere dal panico facendo il gioco dei rivali.
Nell’ultima settimana la Striscia è divenuta bersaglio di violenti bombardamenti aerei che hanno demolito interi quartieri e polverizzato quasi tutte le infrastrutture critiche, senza contare il fatto che l’enclave palestinese è a corto di elettricità e persino di acqua a causa del blocco deciso dallo Stato ebraico.
Il bilancio delle vittime finora registra oltre 1.300 vittime israeliane e addirittura 2.329 palestinesi (escludendo i circa 10.000 feriti).
L’ONU e altre ONG umanitarie hanno tacciato Tel Aviv di provocare “sofferenze umane indicibili” con il suo ultimatum – e il suo assedio della Striscia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che l’evacuazione “potrebbe equivalere a una condanna a morte” per gli oltre 2.000 pazienti ricoverati negli ospedali del nord, tra cui neonati in incubatrice e persone in terapia intensiva. Secondo le Nazioni Unite, inoltre, gli ospedali di Gaza dovrebbero esaurire il carburante dei generatori entro due giorni, mettendo in pericolo la vita di migliaia di pazienti.
Nel frattempo, il conflitto si allarga anche agli Stati vicini. Sabato c’è stato uno scambio di fuoco tra Israele e le milizie di Hezbollah lungo il confine con il Libano. Il gruppo militante ha sparato un missile anticarro verso una postazione dell’esercito israeliano e Israele ha risposto con il fuoco dell’artiglieria, secondo quanto dichiarato da Tsahal. Il servizio di soccorso israeliano Magen David Adom ha dichiarato che un uomo di 40 anni è stato ucciso, senza tuttavia indicarne la nazionalità. Israele ha poi chiuso le aree fino a 4 chilometri (2,5 miglia) dal confine e ha ordinato ai civili nel raggio di 2 chilometri di mettersi al riparo.
A monitorare la situazione è però anche il potente Iran, arci-nemico di Tel Aviv che ha minacciato “conseguenze di vasta portata” se i “crimini di guerra e il genocidio” di Israele non saranno fermati.
“Se i crimini di guerra e il genocidio dell’apartheid israeliano non saranno fermati immediatamente, la situazione potrebbe andare fuori controllo e avere conseguenze di vasta portata, la cui responsabilità ricade sulle Nazioni Unite, sul Consiglio di Sicurezza e sugli Stati che lo guidano verso un vicolo cieco”, ha scritto la missione iraniana alle Nazioni Unite su X.