Precipitano le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro, l’ormai ex capo dei capi di Cosa Nostra, arrestato lo scorso 16 gennaio, dopo 30 anni di latitanza. Il boss siciliano, attualmente ricoverato presso il reparto detenuti dell’ospedale de L’Aquila, è in coma irreversibile.
Già nella serata di ieri, i medici hanno sospeso l’alimentazione. Da diverso tempo, il sessantunenne di Castelvetrano stava combattendo con un tumore al colon: il suo arresto avvenne proprio in una prestigiosa struttura sanitaria palermitana, dove il boss si recava per sottoporsi alla chemioterapia. In questi mesi di detenzione, Messina Denaro è stato costantemente seguito dai dottori del reparto oncologico dell’ospedale abruzzese: nei primi tempi, l’ex super latitante è stato curato in cella. Nelle ultime settimane, in seguito ad alcuni interventi subiti, le condizioni del sessantunenne sono precipitate e ne è stato disposto il ricovero nel reparto detenuti dello stesso nosocomio.
In questi giorni, il capomafia è stato prima sottoposto alla terapia del dolore, poi sedato. Le visite dei pochi familiari ammessi fino alle scorse settimane sono state sospese. In questo periodo il boss ha potuto riconoscere la figlia Lorenza Alagna, concepita durante la latitanza, dandole il suo cognome. I due, però, non si sono mai incontrati: sembra, infatti, che il boss avrebbe preferito non farsi vedere dalla ventiseienne nelle gravi condizioni in si trovava. Da gennaio ad oggi, Messina Denaro è stato ascoltato più volte dai pm: non ha mai collaborato con la giustizia. Nel corso del primo interrogatorio, con aria di sfida, l’ex capo dei capi ha inoltre spiegato al procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, e all’aggiunto Paolo Guido, che se non fosse stato malato e costretto a ricorrere alle cure della clinica, lo Stato non l’avrebbe mai preso. Una versione, quella del boss, a cui non è poi così difficile credere.
Il sessantunenne era latitante dal gennaio del 1993, quando a Palermo venne arrestato Totò Riina: per 30 anni, Messina Denaro ha fatto perdere le sue tracce, “sparendo” nel nulla grazie ad una rete di ristretta composta da uomini di fiducia. “U Siccu” è stato tra i “protagonisti” di uno dei periodi più sanguinosi della storia d’Italia, quello delle stragi, che stravolsero il volto del Paese all’inizio degli anni Novanta. E’ stato coinvolto negli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nonché nel sequestro e nell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino.
Oltre che per la ferocia criminale, il padrino di Castelvetrano si è sempre distinto anche per il suo pragmatismo politico: proprio per questo motivo, venne considerato l’erede ideale di Bernardo Provenzano. Quando “Zù Binnu” venne arrestato nel 2006, dopo ben 43 anni di latitanza, fu proprio Messina Denaro ad assumere il comando di Cosa Nostra. Con l’uscita di scena di Riina e Provenzano, però, il boss di Castelvetrano non è più riuscito a ricostruire quella struttura unitaria che aveva contraddistinto l’organizzazione criminale nel corso dei due decenni precedenti.