A distanza di tre anni dalla sua attuazione, il provvedimento che aveva fatto dell’Oregon il primo Stato in America a depenalizzare il possesso di piccole quantità di droghe pesanti, fra cui eroina, cocaina e metanfetamina, non ha funzionato.
Nel 2020, la Misura 110 era stata approvata con circa il 59% dei voti a favore. Un progetto molto ambizioso che aveva posto l’attenzione sulle cure e necessità di coloro dipendenti dall’uso di sostanze. Ma non sono state soddisfatte le esigenze quotidiane legate alla disintossicazione, sono mancati protocolli adeguati che dovevano garantire trattamenti specifici – il fondo messo a disposizione per le attività di recupero era incentivato dal denaro risparmiato sugli arresti – e le morti per overdose da Fentanyl sono salite vertiginosamente, così come gli atti criminali e gli omicidi.
L’Oregon ha il secondo tasso più alto di disagi legati all’uso di stupefacenti di tutto il Paese e la depenalizzazione ha contribuito a diminuire la percezione della pericolosità degli effetti delle droghe che, unita alle politiche inadeguate e alla disponibilità di farmaci più forti sul mercato, non ha incoraggiato i tossicodipendenti al recupero.
Uno studio condotto dieci anni fa dal National Center on Addiction and Substance Abuse aveva stabilito che soltanto un’esigua minoranza di persone riceveva trattamenti adeguati e, fra questi, solo in pochi avevano ottenuto dei risultati. Questa tendenza è stata tuttora riconfermata da una nuova ricerca condotta dal Journal of American Medical Association (JAMA), pubblicata lo scorso aprile.
Su un campione composto da oltre 150mila iscritti a Medicare, è stato evidenziato che circa un quarto fra coloro che si sottopongono a una prima visita di disintossicazione o si presentano in pronto soccorso non riceve cure in seguito. Secondo il National Institute of Drug Abuse, dovrebbero invece essere somministrate per almeno 90 giorni se l’uso di sostanze è medio.
In passato, l’utilizzo di alcuni farmaci come il Suboxone ha contribuito a gestire un’emergenza da oltre 100 mila morti, aiutando i tossicodipendenti nelle prime fasi del recupero. Ma non si è dimostrata una soluzione permanente, anzi sempre secondo JAMA la sostituzione di una droga che crea dipendenza con un’altra è un trattamento inadeguato e talvolta pericoloso.
Il reverendo Sara Fisher, reggente della Chiesa episcopale di SS Pietro e Paolo di Portland, che ogni sabato assieme ai fedeli organizza un incontro per i membri della comunità in difficoltà per abbattere le distanze, ha dichiarato in un’intervista recente: “Pur non sapendo cosa accadrà alla legge sulla depenalizzazione ritengo che criminalizzare la dipendenza sia la risposta sbagliata a un problema complesso”.
La lotta contro l’uso di droghe richiede ampi investimenti e lunghe tempistiche, ma aumentare l’accesso ai farmaci prima di riuscire a risolvere la problematica che sta alla sua radice non si è dimostrata la risposta più appropriata. Si sarebbe potuto scegliere un reale supporto, restituendo agli individui la possibilità di vivere una vita equilibrata e soprattutto libera.