Otto donne, quattro ginecologi e un’organizzazione di medici dell’Idaho avrebbero citato in cause legali gli Stati del Tennessee, dell’Oklahoma e dello stesso Idaho, secondo il Center for Reproductive Rights che rappresenta i querelanti, perché alle donne in questione sarebbe stata negata l’interruzione della gravidanza, nonostante le pericolose complicanze legate alla gestazione.
Nelle cause intentate si richiede esplicitamente che le leggi applicate sulla pratica dell’aborto vengano sospese nell’immediato e che i termini medici vengano utilizzati in trasparenza. Spesso anche il linguaggio contribuisce a creare disorientamento fra il personale sanitario che non sa quali disposizioni mettere in pratica, creando equivoci.
Queste denunce vanno a sommarsi alla causa vinta da quindici donne che, all’inizio dell’anno in Texas, erano riuscite a dimostrare che il divieto imposto dallo Stato era troppo restrittivo. Di recente, la sentenza è stata impugnata e il processo rimane ancora in attesa di definizione.
Le norme astringenti in materia di interruzione di gravidanza hanno indotto ostetrici e ginecologi a dimettersi in massa. In Stati come l’Idaho, dove praticare l’aborto è divento un crimine a meno che non sia fondamentale per salvare la vita della gestante o la gravidanza non sia conseguenza di incesto o stupro previa denuncia alla polizia, si è generata una vera e propria crisi sanitaria, esponendo a gravi rischi le gestanti alla ricerca di cure, che spesso devono affrontare migliaia di chilometri prima di ottenerle.
D’altronde i medici che si trovano coinvolti in una presunta illegale interruzione di gravidanza rischiano fino a cinque anni di carcere e ammende che possono arrivare a 20 mila dollari, oltre alla revoca della licenza.
Se da una parte gli esposti sono sempre più consistenti, per gli Stati che cercano di imporre limitazioni la tutela alla vita della donna è una questione politica.
In Florida il governatore Ron DeSantis, in corsa per la nomination presidenziale repubblicana, ha firmato una legge sul “battito cardiaco fetale”, che vieta la maggior parte degli aborti dopo sei settimane dal concepimento.
Secondo gli avvocati che la sostengono, 34 anni fa, quando è stata varata la legge che stabiliva che le donne avevano il diritto di cercare un aborto senza interferenze governative attraverso la tutela costituzionale della privacy, era stato commesso un errore.
Gli studi in questo ambito hanno dimostrato che i divieti e le restrizioni non ridurranno le gravidanze indesiderate e non aiuteranno a migliorare la salute delle persone coinvolte. Tutto ciò apre invece la strada a pratiche illegali, clandestine, andando a minare quella salute tanto sbandierata che la legge cerca a ogni costo di tutelare.