Il bilancio delle inondazioni che hanno travolto la città di Derna in Libia continua ad aggravarsi ed è impossibile prevedere al momento quante saranno le vittime in questo martoriato paese nordafricano; quel che appare sicuro invece è che le piogge hanno invaso un territorio dove la manutenzione delle grandi opere è inesistente da anni, incluse le due dighe che sono crollate sotto la spinta delle acque, spazzando via interi quartieri con i loro abitanti.
A cinque giorni dal disastro, le squadre di soccorso lottano cercando sopravvissuti e cadaveri. Le cifre vanno dai seimila agli undicimila morti, ma migliaia sono dispersi – con famiglie intere annientate che non possono nemmeno contare le loro vittime – e il totale potrebbe superare ventimila. La tragedia è un “terribile monito” dei disastri dei cambiamenti climatici e delle sfide che ci troviamo ad affrontare, ha detto Mark Griffith, sottosegretario generale dell’Onu per gli affari umanitari.
Ma la colpa non è solo del cambiamento climatico. La maggior parte delle vittime si sarebbe potuta evitare se ci fosse stato un sistema di allerta, sostiene la Organizzazione Meteorologica Mondiale dell’Onu. E ancora: un articolo del quotidiano britannico The Guardian indaga sulle ragioni del disastro con fotografie interattive e diagrammi esplicativi, puntando il dito sui problemi di un paese spaccato e massacrato dalla guerra civile, dove metà è gestita da un governo riconosciuto dall’Occidente – quello di Tripoli – e l’altra metà, dove è avvenuto il disastro, è nelle mani di un altro signore della guerra, Khalifa Haftar, sostenuto da altre milizie.

Le immagini restituiscono un panorama devastante nella città portuale di Derna: palazzi distrutti, strade diventate fiumi. La città – 90mila abitanti – è tagliata in due dal Wadi Derna, fiume che si secca d’estate ed era protetto dalle inondazioni da due dighe. Domenica notte sono crollate entrambe, una dopo l’altra, e l’acqua ha portato via di tutto sul suo percorso. Altre zone colpite sono le città di Bayda, Shahatt, Marj e Susa. Il mare restituisce corpi sulla spiaggia.
Il governo corrotto di Mohammed Gheddafi è stato seguito dopo la sua destituzione da dieci anni di caos che hanno lasciato il paese in pessime condizioni. La pioggia della tempesta Daniel è un disastro naturale, ha scritto Elham Saudi, direttore del gruppo Avvocati per la Giustizia in Libia; ma la catastrofe “è colpa dell’uomo, delle mancanze di infrastrutture, dell’impunità… arrabbiamoci con il sistema che ha consentito questa tragedia”. Una delle due dighe di Derna non avrebbe ricevuto manutenzione dall’anno 2002.
Pesanti inondazioni nelle ultime settimane hanno colpito Hong Kong, la Grecia, la Cina, la Spagna. La tempesta Daniel non era imprevedibile come il terremoto che ha colpito il Marocco; si era già visto cosa aveva fatto in Grecia, si sapeva che avrebbe spazzato la Libia con giorni di anticipo. Si sarebbe potuta organizzare un’evacuazione, a prescindere dalla tenuta delle dighe. Invece in alcune zone ai cittadini è stato chiesto di chiudersi in casa e rispettare un coprifuoco.
Anche gli sforzi di soccorso sono stati ostacolati da questioni politiche; i governi rivali non hanno sufficiente interesse per accorrere a salvare i libici e persone importanti per l’opinione pubblica e i diritti civili sono in carcere. Ci sono domande che sarebbe opportuno farsi. La comunità internazionale – a partire da Francia e Italia – è pronta a intervenire in Libia quando si tratta di sfruttare le sue ampie riserve di combustibile fossile (petrolio e gas). L’Italia ha firmato un accordo con il governo di Tripoli dando soldi in cambio del blocco dei migranti – pur cosciente delle orribili violazioni dei diritti che avvengono nei campi di prigionia libici. Se i cittadini comuni si sentono abbandonati, hanno le loro ragioni.