Torna sulla scena Tony Blair, a pochi mesi dai settant’anni compiuti lo scorso 6 maggio.
L’ex premier britannico potrebbe essere utile al suo Partito laburista nelle prossime elezioni in patria, suggerisce il New York Times, almeno come consulente di prestigio. Un ruolo che esercita in varie parti del mondo tramite il Tony Blair Institute for Global Change: anche in Albania, dove è arrivato il 13 agosto su un elicottero militare nello stadio della città di Himara. Pochi chilometri più in là, ha ricordato il sito Dagospia, c’è la villa del premier albanese Edi Rama dove era invitata anche la premier italiana Giorgia Meloni: ci ha passato il Ferragosto. Entrambi sono in ottimi rapporti con Edi Rama: socialista, artista, ex cestista, il politico albanese guida il Paese ormai da dieci anni (dal 15 settembre 2013). Incontro estivo e vacanziero ma forse con sfondo lavorativo; “che si saranno detti la Ducetta e Bigliet-Tony?” ironizzava Dagospia – con ovvio riferimento alla ricchezza personale accumulata da Blair.
Da quando lasciò la poltrona di premier della Gran Bretagna nel giugno 2007 (era al suo terzo mandato consecutivo, senza precedenti) il politico laburista si è infatti dedicato alle consulenze. Il Tony Blair Institute for Global Change è una potenza con ottocento dipendenti sparsi in venti paesi del globo, soprattutto in Africa. Fra i suoi clienti c’è proprio il governo albanese: il contratto è stato firmato nell’agosto dell’anno scorso; all’epoca, l’Istituto pubblicò un annuncio alla ricerca di un “senior advisor” che si dedicasse all’Albania e alle riforme del settore pubblico, inclusa l’agenda politica nazionale, la trasformazione digitale, le riforme del settore energetico, ma anche alle strategie da tenere in materia di politica internazionale.
In precedenza, Blair aveva già agito come consulente a Tirana attraverso un’altra organizzazione, la Tony Blair Associates, dal 2013 al 2016; secondo la stampa albanese non si è mai capito esattamente di cosa si occupasse, ma lo studio legale di Cherie Blair, moglie dell’ex premier, aveva ottenuto dei contratti dal governo di Tirana.
L’Istituto Blair, fondato nel 2016, è un’organizzazione non profit. La sua missione ufficiale è aiutare i leader politici “a costruire società inclusive e prospere in un mondo sempre più interconnesso”. Che vuol dire? Principalmente produrre analisi strategiche e offrire consulenze; nel 2021 il fatturato dell’istituto è stato di 81 milioni di dollari, e vanta donazioni fra gli altri dal fondatore di Oracle Larry Ellison: 33 milioni di dollari nel 2021 per un progetto africano, un database sulle vaccinazioni per una serie di malattie. Al di là dell’aspetto economico, Blair resta un “decision maker”, una persona che ha impatto sulle politiche di numerosi paesi.
In Gran Bretagna, però, Blair sembrava diventato un appestato. Il suo patrimonio politico era stato pesantemente colpito dalla collaborazione con George W. Bush nell’invasione dell’Iraq, una decisione contro le Nazioni Unite, inaccettabile per una parte dell’elettorato laburista. Quando l’anno scorso la regina Elisabetta lo insignì del cavalierato (adesso è Sir Anthony Charles Lynton Blair) oltre un milione di persone firmarono una petizione chiedendo che l’onorificenza fosse revocata.
Eppure, l’attuale leader laburista Keith Stormer sta cercando la sua collaborazione. Da quando Blair lasciò il potere, nessun laburista ha più vinto le elezioni: sono 13 anni di governo conservatore a Londra, sia pure con una carrellata di premier. Il mese scorso, Stormer e Blair sono apparsi insieme sul palcoscenico di una conferenza organizzata dal Blair Institute. L’ex premier ha carisma e abilità comunicative che sono mancate a tutti i leader del partito dopo la sua uscita di scena, e di fronte alla crisi dei conservatori (dovuta al dissennato governo e agli scandali di Boris Johnson, ma anche ai dubbi ex post sulla Brexit), il Labour spera finalmente di tornare al timone. Ma cercare il supporto di Blair significa confermare che i laburisti si spostano una volta di più verso il centro.
Fin dal suo primo mandato del 2007, col suo New Labour, Blair aveva riformato profondamente il partito della sinistra ridimensionando il ruolo dei sindacati e sterzando le sue politiche (anche verso una maggiore cooperazione pubblico-privato) per conquistare l’area moderata. Si potrebbe dire in verità che nonostante i suoi successi elettorali, sia riuscito a disgregare l’anima del partito. I laburisti, per esempio, non hanno avuto il coraggio di opporsi alla Brexit e fare campagna a favore dell’Europa, col risultato di apparire una copia sbiadita dei Tories su questa decisione cruciale per l’economia del paese. Il Labour appare oggi come un partito senza identità. Ma è Blair la persona giusta per rianimare l’entusiasmo dei britannici?
Può creare più di qualche perplessità nell’elettorato di sinistra anche il ricco patrimonio di Blair: oltre all’Institute e alle sue consulenze private l’ex premier ha accumulato asset immobiliari non indifferente: almeno 10 case e 27 appartamenti fra Londra e Manchester, per circa 30 milioni di sterline. I tre figli Blair hanno ciascuno una casa al centro di Londra – una vita da privilegiati che ha poco a che fare con l’esistenza quotidiana in un paese sempre più caro, con scuole e sanità pubbliche sempre meno efficienti.
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