Fino al 2018, Charles McGonigal aveva a suo carico la direzione dell’ufficio di controspionaggio di New York dell’FBI. Una sede importante e strategica, da cui passavano ogni anno migliaia di cittadini stranieri.
Da gennaio di quest’anno, l’ex agente è però in prigione con l’accusa di riciclaggio e di aver fornito false informazioni all’intelligence americana, oltre che di aver violato le sanzioni statunitensi contro la Russia ricevendo fondi dall’oligarca russo Oleg Deripaska, personaggio con forti legami con il Cremlino detto il “re dell’alluminio”.
McConigal è stato arrestato dalla polizia proprio a New York, all’aeroporto JFK, di ritorno da un viaggio nello Sri Lanka. “Non sono colpevole di nulla”, si è affrettato a dire in tribunale, prima di dirsi curioso di sapere “quali sono le prove il governo ha portato a sostegno della sua accusa”.
Per gli Stati Uniti il processo in questione è particolarmente importante, perché potrebbe avere un impatto sul modo in cui il Dipartimento di Giustizia Usa si muove nella gestione delle sanzioni contro gli oligarchi russi: un argomento molto discusso da quando Mosca ha iniziato l’invasione dell’Ucraina un anno e mezzo fa.
I timori sono anche che McGonigal, un tempo fidato membro dell’intelligence tanto da aver letto documenti al più alto grado di segretezza, possa aver divulgato informazioni capaci di far affondare intere missioni e compromettere la sicurezza di alcuni agenti sotto copertura.
Nella questione Deripaska, le prove portate dagli inquirenti delineano il piano pensato da McGonigal per far sì che il nome dell’oligarca venisse rimosso dalla “lista nera” americana: un lavoro di pressioni e delicatissimi interventi grazie ai quali veniva retribuito con 25 mila dollari al mese. Soldi che transitavano su un conto controllato da un ex diplomatico russo, Sergey Shestakov, finito sotto inchiesta. Un’indagine che ha fatto notizia perché ha messo in luce la complessa rete di relazioni tra oligarchi, intelligence e figure politiche, in particolare nel contesto delle relazioni tra Stati Uniti e Russia.
Ora McGonigal, che ha 55 anni, è atteso al tribunale federale di New York, dove dovrà comparire domani: in caso di colpevolezza rischia oltre 50 anni di carcere, ma fino ad ora, in oltre tre anni di indagini, non è uscita nessuna prova schiacciante che dimostri come l’ex agente abbia fornito segreti di sicurezza nazionale ai russi o a chiunque altro.
Il direttore dell’FBI Christopher A. Wray, in attesa di nuovi sviluppi, ha dichiarato intanto che le accuse dimostrano “la volontà dell’FBI di fare luce su comportamenti assolutamente inaccettabili, anche quando provengono da uno dei nostri agenti, e di ritenerli responsabili”.