È scaduto in queste ore il termine concesso dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) nei confronti del regime golpista in Niger per il reintegro del Governo legittimo del presidente Mohamed Bazoum.
Domenica scorsa il blocco di nazioni africane occidentali aveva dato sette giorni di tempo alla giunta militare del generale Abdourahmane Tchiani per tornare sui suoi passi e reintegrare Bazoum, destituito manu militari lo scorso 27 luglio. In caso contrario, l’organizzazione aveva minacciato che sarebbe ricorsa a ogni strumento disponibile, compreso un intervento armato.
La prospettiva di un’incursione in territorio nigerino pare essere diventata tuttavia un’ipotesi sempre meno probabile. A tagliare le gambe ai propositi bellici dell’ECOWAS sono stati gli stessi Stati membri. A poche ore dal possibile attacco, sabato il Senato della Nigeria ha piuttosto chiesto al presidente Bola Tinubu – che è anche attuale presidente dell’ECOWAS – di esaurire ogni tentativo diplomatico prima di ricorrere alla forza. Ciò anche alla luce del fatto che un eventuale intervento costituirebbe di fatto una “dichiarazione di guerra” contro Mali e Burkina Faso, entrambi al confine con il Niger e governati da giunte militari.
Anche l’Algeria e il Ciad, Paesi non appartenenti all’ECOWAS e con una consistente presenza militare nell’area, hanno dichiarato di opporsi o di non voler ricorrere alla forza.
Intanto, proprio in previsione di un attacco, centinaia di ragazzi si sono uniti alle forze di sicurezza nelle strade della capitale di Niamey per perlustrare le strade e mantenere l’ordine pubblico.
Fino al colpo di Stato di una settimana fa, il Niger era considerato il principale alleato dell’Occidente nella campagna antiterrorismo nel Sahel – una vasta regione a sud del deserto del Sahara dove i jihadisti affiliati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico stanno guadagnando territorio a scapito degli Stati costieri.
Oltre alle ricadute geopolitiche, il colpo di Stato rischia di avere effetti drammatici per oltre 4,4 milioni di persone che, secondo le organizzazioni umanitarie, hanno bisogno di aiuto urgente.