“A morte il mostro!” è l’invocazione mediatica che ha accompagnato il recente femminicidio di Giulia Tramontano che ha scosso l’Italia. Il Ministero dell’Interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza, Direzione centrale della Polizia criminale, al 4 giugno 2023 registra 49 donne vittime di omicidio, dall’inizio dell’anno, di cui 41 uccise in ambito familiare/affettivo, di queste, 24 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex.
Il delitto Tramontano, di cui il trentenne Alessandro Impagnatiello, compagno della vittima, è reo confesso, ha destato particolare scalpore perché la donna portava in grembo una creatura che, per la recente giurisprudenza, a sette mesi è considerata già “persona”, tanto che si ipotizza il duplice omicidio. Una massa indistinta di utenti social ha invocato la legge del taglione per lui, rispondendo alla barbarie con la barbarie.
Si tratta di un caso isolato, o Impagnatiello è uno dei tanti potenziali “mostri” che si annidano a nostra insaputa fra le mura domestiche? La risposta è complessa e ha a che fare anche con un vuoto di valori, incoraggiato dall’uso dei social network che possono alimentare l’edonismo sfrenato, la sete di denaro facile, la ricerca spasmodica di consenso. Ne parliamo con il sociologo Antonio Marziale, Presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei minori e docente di Sociologia generale all’Università “Dante Alighieri” di Reggio Calabria.
Alessandro Impagnatiello è un “mostro”, come è stato definito persino dalla madre?
Impagnatiello è un assassino e un criminale della peggiore specie, per il quale in una società civile si deve auspicare il massimo della pena, che certamente non consiste nell’occhio per occhio, dente per dente. Ogni Paese ha il suo sistema di giustizia, il nostro contempla l’ergastolo: in casi del genere, io sono tra i sostenitori di questa pena estrema. Tuttavia, bisogna invocare le pene entro i parametri di ciò che è giustizia, e non vendetta. Di questo tipo di criminali ce ne sono più di 40 dall’inizio dell’anno solo in Italia, non oso immaginare nel mondo, e i numeri si moltiplicano se pensiamo che ci sono molestatori e violentatori non solo corporali ma anche psicologici di donne che si presentano alla società con la faccia d’angelo.
Esiste un problema epocale di difficoltà di comunicazione fra uomini e donne, che percorrono binari paralleli sul piano dell’empatia e dell’intelligenza emotiva. Che fare perché riescano a incontrarsi?
Bisogna partire dall’educazione, introdurre l’educazione sessuale nelle scuole, far capire all’umanità in divenire che l’essere umano non si misura dalla cintola in giù, ma dall’ombelico in su. Tutti gli individui hanno la stessa dignità, e la diversità sessuale non inficia l’essere umano, al quale è richiesto di essere una persona per bene nella società. Ciò che fa nel suo intimo in base all’orientamento sessuale è un fatto del tutto privato. Purtroppo però viviamo in un Paese dove, appena si accenna all’educazione sessuale, si scatena la guerriglia urbana dei moralisti e dei benpensanti…
Non è piuttosto una questione di educazione sentimentale?
La sua domanda risuona dolce, ma risulta difficile educare ai sentimenti. Diciamo che occorre un’educazione civica di base che ha inevitabilmente risvolti nelle relazioni sentimentali. La chiave è l’educazione sessuale. Se non la facciamo, è come se volessimo conservare un tabù, e allora non si faranno mai dei passi avanti nelle relazioni tra i generi.
A proposito di educazione dei giovani, quanto peso ha il vuoto di valori imperante in un’epoca che esalta l’uomo senza qualità?
Stiamo vivendo un periodo che Durkheim ha ben inquadrato come quello dell’anomia, ossia della mancanza di regolamentazione sociale e morale. Non abbiamo più certezze valoriali intorno. D’altro canto, anche Bauman ha scritto di modernità liquida, di valori liquidi, di amore liquido. Inevitabilmente, quindi, anche i giovani navigano a vista. Per tornare a ricentrare la qualità della vita e della quotidianità, occorrerebbero dei buoni maestri, che in questo momento sono offuscati dai social network, che non hanno regole e livellano tutto, valori e disvalori. In termini di like, vince comunque la feccia. Serve la capacità di recuperare un sano umanesimo anche in termini di educazione delle masse giovanili. Va bene spendere grosse somme del PNRR per la digitalizzazione della scuola, ma non vorrei si arrivasse a una tecnologia digitale esasperata, che avvilisce l’umanità.
Al Consiglio regionale della Calabria, per la premiazione del progetto “Ragazzi in aula” ha parlato di eroi e supereroi. Chi sono?
Gli eroi sono coloro che ogni giorno fanno il proprio dovere, che rispettano la legge, rispettano gli altri, hanno un comportamento civico sano. I supereroi sono quelli che si spingono oltre, superando i limiti del vivere civile, in un mondo in cui c’è una corsa folle verso il baratro.
Siamo iperconnessi, attori e spettatori di una meta-realtà effimera, in preda all’ansia di prestazione edonistica. Dove condurrà questo individualismo cieco?
All’isolamento e alla solitudine, che per l’uomo è la cosa peggiore. Se per un artista, o uno scrittore, la scelta della solitudine può essere sana e proficua, per l’uomo comune è un pericolo. L’uomo è nato per socializzare, nella solitudine l’uomo involve e, soprattutto, si deprime. Da qui, nei giovani, i fenomeni di autolesionismo, i disturbi d’ansia, gli attacchi di panico e tutti gli altri problemi legati alla corsa verso il proprio avatar, il sé idealizzato cui la società digitale ci costringe. Dobbiamo ricordarci di avere sempre il potere di staccare la spina, per tornare ad essere umani.