Durante un colloquio telefonico tenutosi domenica, il segretario di Stato statunitense Antony Blinken ha fatto pressione sull’omologo russo Sergej Lavrov per il rilascio di Evan Gershkovich, il reporter americano arrestato giovedì scorso in Russia con l’accusa di spionaggio.
Il capo della diplomazia USA ha chiesto a Mosca di rimettere in libertà non solo Gershkovich – fermato giovedì a Ekaterinburg dall’FSB – ma anche l’ex Marine Paul Whelan, definendo entrambe le loro detenzioni “inaccettabili”.
“Il Segretario Blinken ha espresso la grave preoccupazione di Washington per l’inaccettabile detenzione da parte della Russia di un giornalista cittadino statunitense”, si legge nella dichiarazione pubblicata dal Dipartimento di Stato. Blinken e Lavrov, prosegue il comunicato, “hanno inoltre discusso dell’importanza di creare un ambiente che permetta alle missioni diplomatiche di svolgere il loro lavoro”.
Il Dipartimento di Stato ha inoltre chiesto ai funzionari consolari di poter visitare il 31enne corrispondente del Wall Street Journal per verificare se è trattato secondo la legge.
A spingere per la liberazione è stata nelle ultime ore anche la cestista Brittney Griner, che dopo aver trascorso 10 mesi in un carcere della regione di Mosca è stata recentemente liberata nell’ambito di uno scambio di prigionieri con il trafficante di armi Viktor But.
In un post pubblicato sabato sera su Instagram, Griner e sua moglie Cherelle hanno espresso la loro “sincera preoccupazione” per Gershkovich.
“Quella di ogni americano rapito è una battaglia che tutti noi dobbiamo combattere, e quella di ogni americano liberato è una vittoria per tutti noi”, ha dichiarato Griner, che appena una settimana prima dello scoppio della guerra in Ucraina era stata arrestata per possesso di una piccola dose di olio di cannabis.
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Gershkovich è il primo giornalista americano a finire in carcere con l’accusa di spionaggio dal 1986. A chiedere la sua liberazione è stato venerdì anche il presidente Joe Biden – che le coniugi Griner hanno peraltro ringraziato per gli sforzi diplomatici che hanno rimesso in libertà diversi cittadini statunitensi come Jeff Woodke (rapito in Niger più di sei anni fa) e l’immigrato Paul Rusesabagina (imprigionato per più di due anni in Ruanda).