Un anno fa la Russia invase l’Ucraina, avviando quella che il suo governo continua a chiamare “operazione militare speciale”, e che è invece guerra feroce, ingiustificata e cosparsa di comportamenti criminali per certi aspetti peggiori di quelli degli occupanti nazisti nella Seconda guerra mondiale. Per provare a capire cosa sia accaduto e cosa ci si possa aspettare, occorre partire dalle radici dell’intervento russo. Lì si trova la chiave.
Revanscismo e frustrazione permeano la vita pubblica e privata russa. Il revanscismo è recente, scaturito dalla miseria economica politica e morale degli anni di Gorbačëv e Él’cin. Invece di prendersi la responsabilità del disastro, i russi preferirono esautorare il primo, defenestrare il secondo e quindi accusare un’inesistente congiura occidentale. Corollario: il “rifarsi” appena pronti, dandosi come prima tappa la riconquista dei territori persi nella fratturazione dell’Urss. L’attacco all’Ucraina è in questa logica, solo che il calcolo di tempo, modo e convenienze è stato sbagliato. Putin prevedeva pochi giorni di occupazione, cambio di governo, assorbimento del paese nella propria sfera, con un occidente zitto e buono. Sappiamo tutti come è andata. La Russia, che non è una potenza salvo possedere ordigni nucleari e missili (forse) efficaci, non ha né gli uomini né i mezzi per vincere. Il che accresce la frustrazione e l’invidia, elementi costitutivi della psicologia collettiva di un paese insieme europeo e orientale che sa, senza ammetterlo, di non essere competitivo né con le democrazie europee né con i dispotismi orientali.
Il nazionalismo moscovita è granderusso, ovvero si alimenta di espansionismo. Tale è la vastità territoriale etnica e religiosa del Russkiy mir (“cosmo russo”, ma anche “pace russa”) che la macedonia di popoli può evitare il frullatore autodistruttivo solo se fagocita ulteriori popoli e territori, o – politicamente è lo stesso – non consente ad alcun popolo catturato in quel mir, di uscirne. Si tratta di un dominio razziale e religioso che non prevede eccezioni: specie russa comunque superiore a quella dei conquistati (chiamati nel migliore dei casi “fratellini”), ed esclusivismo religioso dell’Ortodossia aggressiva, che consente a Mosca di autonominarsi terza Roma, usurpando i diritti dell’unica vera Roma orientale, Bisanzio.
Il dramma del primitivismo russo è nella mistura tra pochezza della struttura economica (di materie prime vivono i paesi arretrati, non le potenze) e fanatismo culturale esclusivista. Essa spinge il potere a una politica aggressiva ed espansionista, finalizzata anche al consolidamento interno. Non è solo l’ingiustificata aggressione all’Ucraina a confermare questa lettura, ma le intimidazioni continue ai paesi Baltici, il vassallaggio della Bielorussia, la presenza di basi nel Mediterraneo con l’intervento diretto nei teatri siriano e libico, l’attivismo in Africa anche attraverso i mercenari Wagner. Da ultimo, la sobillazione antigovernativa in Moldova sino alla revoca del decreto sulla sovranità della repubblica di Chișinău, che si sommano ai dodici anni di sfida in Transnistria.
Quanto sopra può non essere condivisibile da chi non abbia esperienza diretta di quella realtà “in-credibile” che è la Russia reale. Il che spiega posizioni di politici e opinione pubblica che, in buona fede ma per ignoranza colpevole , con proposte impropriamente “pacifiste” – che sono in realtà profondamente guerrafondaie e obiettivamente favorevoli al perturbatore della pace universale e del diritto internazionale – fanno involontariamente il gioco dello stato dittatoriale russo. Giudizio meno generoso spetta ai “comprati” o “affittati” dal potere russo: intellettuali, direttori di giornali, politici, imprenditori, che la politica moscovita manovra su base di corruzione ideologica e/o monetaria. Lo ha fatto da sempre in Asia Centrale e mondo ortodosso, e dal novecento anche in occidente attraverso favori, l’ideologia comunista, l’appello ai valori tradizionali “Dio Patria e Famiglia”.

Putin ha come campione politico di riferimento il dispotismo di Stalin, come compagno di strada nella restaurazione il millenarismo della chiesa Ortodossa, come obiettivo il grande lager del “Russkiy mir” dal quale muovere nella sua reconquista nei confronti dell’Europa, per annichilire il nemico libero e prospero, ma militarmente debole dell’Unione Europea, e tastare lo scudo Nato che la garantisce. In questo Putin è trasparente. Bastano delle citazioni dai due discorsi – sullo stato della nazione e per la festa del difensore della patria – del 21 e 22 febbraio. Per giustificare le cose miserabili che sta facendo in Ucraina (bombardamento di civili, deportazione di bambini, stupri, fosse comuni, distruzione di infrastrutture civili, occupazione di territori altrui) definisce l’azione dei suoi uomini qualcosa di “potente, grande… mistico e santo”, che riguarda “i confini storici del nostro popolo”. Quando si scaglia contro le “perversioni” occidentali afferma: “Nel nostro cuore, patria e famiglia sono la stessa cosa … Il popolo… ha deciso di difendere la cosa più sacra che abbiamo, la famiglia e la patria”. Quantomeno bizzarro, sulla bocca di un uomo che la propria famiglia l’ha distrutta, e adesso, da bravo nazionalista, sta facendo di tutto per distruggere anche la patria, essendo più che concreta l’ipotesi che stia trascinando lo stato che dovrebbe proteggere, verso le terribili conseguenze di una sconfitta sul campo.
Davanti alla catastrofe rappresentata dall’attuale Russia, chi vuole la pacificazione europea dovrebbe convenire che il tavolo della pace prevede ambedue i contendenti. Lo stesso dicasi per l’avvio di qualsiasi dialogo, visto che “dia” sta per due. Mosca non è disponibile né alla pace né al dialogo. Ha scatenato la guerra e la prosegue nonostante le enormi perdite. Non vi è altra possibilità, per i pacifici, che mettere l’Ucraina in condizione di umiliare la Russia cacciando i suoi soldati e mercenari, così che i russi comprendano il loro fallimento e siano spinti al cambio di regime.
Domandina a Biden: se Roosevelt sopportò di allearsi con Stalin contro Hitler, cosa vieta un’apertura a Xi per staccarlo dall’abbraccio con Putin? Gli interessi economici statunitensi? Lenin avrebbe detto: “i capitalisti ci venderanno la corda con la quale li impiccheremo”.