Sono le sei del pomeriggio dell’11 gennaio di ottanta anni fa. Nella redazione del suo giornale Il Martello, al primo piano del palazzo che fa angolo tra la 15th e la Quinta Ave Carlo Tresca aspetta. È in programma una riunione con gli antifascisti della Mazzini Society, ci sono da discutere tante cose, ormai il tempo stringe. Di lì a pochi mesi gli americani sarebbero sbarcati in Sicilia e avrebbero puntato su Roma per liberare l’Italia da Mussolini e Tresca era deciso a denunciare quello che stava avvenendo tra gli italiani a New York, forse addirittura tornare in Italia per smascherarli. Molti, troppi ex fascisti avevano cambiato bandiera e avevano convinto Roosevelt a fidarsi di loro. Fra tutti Generoso Pope, potentissimo editore di giornali diffusi tra la comunità degli immigrati che il presidente americano aveva già eletto a suo fidato consigliere nonostante il suo passato legato a doppio filo con l’ormai vacillante regime del duce. A quella riunione però, praticamente non si presentò nessuno. Probabilmente fu allora che Carlo Tresca il leggendario anarchico, protagonista di tante battaglie nel nome della libertà e dei diritti dei lavoratori italiani e non solo in America, sentì addosso la sua solitudine. Il resto è la cronaca dell’omicidio più clamoroso di quell’anno a New York.
Clamoroso come il funerale che lo salutò, con un corteo di ottanta automobili cariche di fiori che scortò il suo corpo in due diverse commemorazioni che se lo contendevano. La città lo salutò come si saluta un eroe divenuto familiare, per il suo carattere battagliero, ma anche la sua capacità di generare empatia con tutti quelli che aveva a cuore, fossero umili tessitrici, minatori analfabeti o leader politici del calibro di Trockij o intellettuali come Dos Passos. A ucciderlo nel buio del coprifuoco di New York fu la pistola di Carmine Galante, un manovale della mafia italoamericana legata alla famiglia Genovese. Ma chi decise di armarlo non fu mai cercato e trovato, forse perché chi lo voleva morto non era uno soltanto. Da Mussolini in persona che temeva la sua devastante opera di nemico del regime fascista tra gli immigrati italiani, ai capi mafia che controllavano traffici e corruttela nelle fabbriche e nelle strade, ma anche tra gli antifascisti c’erano quelli che avrebbero voluto si togliesse di torno. I comunisti di Mosca e di Stalin per esempio, ma anche certi ambienti legati al clero più retrivo che Tresca aveva preso a bersaglio per anni con articoli infuocati di denuncia sui suoi giornali. Fatto sta che quella sera aspettò per due ore una riunione che non ci fu e poi uscì in strada e non si voltò nemmeno quando senti il colpo di pistola. Ottanta anni sono passati da quel giorno, anni di silenzio, di vergogna, di mea culpa, di recriminazioni, di depistaggi nel tentativo di sistemare, di collocare nel posto giusto e con le parole giuste il ritratto di questo “soldier of the ideal” così si definiva, che era scomodo per tutti. Vivere e morire con un ideale in tasca e tirarlo fuori sempre e comunque, anche sapendo di rischiare. Di questi tempi uno come Carlo Tresca starebbe scrivendo un articolo infuocato sulle proteste in Iran e tutti noi avremmo bisogno di leggerlo.
Nota della Redazione:
Angelo Figorilli é anche autore, assieme a Francesco Paolucci, del documentario “L’uomo più buono del mondo la leggenda di Carlo Tresca” un racconto della vita dell’anarchico con la testimonianza di Maurizio Maggiani, che di Tresca ha scritto ne “L’eterna gioventù”, e con le animazioni visionarie di Erick Mauricio Cuevas Ulloa. Il documentario sarà presentato in anteprima lunedì 23 gennaio a Sulmona città natale di Carlo Tresca.
Ecco il trailer: