A un anno e 359 giorni dal suo insediamento, Joe Biden ha finalmente deciso di andare a vedere di persona quale sia la situazione al confine meridionale degli Stati Uniti. Criticato dai repubblicani per il suo «assenteismo», criticato altresì dai democratici per non essere ancora riuscito a disfarsi del Title 42, la regola ripescata da Donald Trump nel 2020 che permette di respingere i migranti per motivi di salute pubblica, Biden arriva al confine dopo aver comunicato una serie di decreti presidenziali che dovrebbero contribuire ad alleggerire la pressione dei richiedenti asilo.
Il presidente sta visitando El Paso, città di tradizioni democratiche, solitamente ospitale verso i migranti, ma recentemente sopraffatta dallo tsunami umano in arrivo dal sud. Ci si fermerà poche ore, sulla strada verso il Messico, dove domani tiene un summit del Nord America con il collega messicano Andres Manuel Lopez Obrador e il primo ministro canadese Justin Trudeau.

«Troppo poco, troppo tardi» protestano i repubblicani, ma anche i democratici vedono nei decreti di Biden solo un cerotto che poco risolve davanti alla massa umana che arriva non più solo dal Centro America, ma ora anche dal Sud America. I provvedimenti portano a 30 mila al mese i permessi di ingresso per coloro che chiedono asilo politico e che provengano da alcuni Paesi che secondo il Dipartimento di Stato sono sotto una dittatura o in condizioni di instabilità e terrore: Cuba, Nicaragua, Haiti. A questi tre Paesi verranno applicate le stesse regole che da settembre si applicano già al Venezuela e dalla scorsa primavera all’Ucraina, e cioè verranno ammessi solo coloro che seguiranno la trafila ufficiale e respinti coloro che insistessero a presentarsi alla frontiera. Inoltre saranno ammessi solo coloro che avranno amici, parenti o conoscenti che siano disposti a sponsorizzarli per due anni.
Biden ha definito le nuove regole «ordinate, sicure e umane», e soprattuto «efficaci». E’ un dato di fatto che se prima della nuova normativa i venezuelani che si presentavano alla frontiera erano almeno mille al giorno, oggi se ne contano si e no un centinaio, perché possono far domanda di accesso via internet e già 14 mila sono entrati legalmente da settembre.
Ma è altrettanto vero che il numero di accessi legali che il decreto di Biden concede è una goccia nel mare magno delle onde migratorie dal sud. Per non parlare del fatto che a centinaia di migliaia a chiedere asilo sono le popolazioni del Centro America, devastato dai cambiamenti climatici che hanno quasi cancellato l’agricoltura, come l’Honduras, o quelle di Paesi perseguitati dalla violenza delle bande di narcotrafficanti come la Colombia.
La verità è che il presidente, per dettato costituzionale, non ha i poteri per trovare una soluzione a questa crisi. Può emanare decreti di portata limitata, che poi spesso finiscono comunque contestati o ridotti o cancellati dai tribunali o dalla Corte Suprema, ma non può approntare e adottare una legge vasta che includa tutti i pressanti problemi dell’immigrazione. Quello è un compito esclusivamente del Congresso. E il Congresso oramai da decenni non riesce a superare le divisioni e accordarsi su una legge onnicomprensiva. Figuriamoci poi adesso con i repubblicani che controllano la Camera e i democratici il Senato, entrambi con margini ridotti.
E’ invece un potere del presidente stabilire come e quanto usare gli strumenti già esistenti nel controllo dell’immigrazione. Per esempio l’amministrazione Obama aveva stabilito che nelle espulsioni si desse priorità a individui che rappresentassero una minaccia alla sicurezza nazionale e pubblica e a coloro che erano entrati nel Paese illegalmente da poco. L’amministrazione Trump ha cercato di considerare «priorità elevata» tutti gli immigrati privi di documenti, mentre l’amministrazione Biden è tornato a un approccio simile a quello di Obama.