Dicono che con lui ci sia poco da discutere. Un robot, chiamato “consulente legale” e costruito utilizzando l’intelligenza artificiale, è pronto a vestire per la prima volta i panni dell’avvocato in un processo vero e proprio, davanti a un giudice deciso ad emettere la sentenza.
Un cervello di impulsi elettrici ricchissimo di nozioni che tramite un auricolare suggerirà all’imputato cosa dire per evitare la multa e le conseguenze penali derivate da un’accusa per eccesso di velocità.
L’udienza si terrà a febbraio in California e lì, sotto gli occhi attentissimi dell’azienda DoNotPay che lo ha progettato, l’avvocato elettronico avrà il suo banco di prova.
Se sia giusto o meno consentire alla tecnologia di entrare in un’aula di tribunale è però ancora tutto da accertare. Sono molti i paesi e le giurisdizioni nel mondo che vietano categoricamente l’utilizzo di telefoni e dispositivi connessi a Internet durante un processo. Il motivo non è nemmeno troppo difficile da immaginare: accedere alla rete significa avere a disposizione ogni tipo di informazione. Norme, regolamenti e cavilli sarebbero lì, sotto gli occhi di tutti, pronti per essere utilizzati a proprio piacimento.
D’altronde, nessun avvocato può conoscere il diritto meglio di Google.

Per aggirare le restrizioni sull’uso dei cellulari, DoNotPay ha spiegato come l’azienda si stia affidando agli standard di accessibilità all’udito del tribunale: una serie di piccole disposizioni che offrono una scappatoia nell’uso degli Apple AirPods.
Joshua Browder, che di DoNotPay è fondatore nonché CEO, sa benissimo a quali rischi stia andando incontro. Ma le conseguenze non lo spaventano. “Al massimo una multa”, ha risposto a chi gli ha chiesto quali ripercussioni si aspetti nel caso in cui la sua tecnologia venisse effettivamente giudicata illegale. Dice di non credere che i tribunali vogliano accanirsi contro gli imputati che usufruiscono del coaching dell’intelligenza artificiale per un piccolo crimine come l’eccesso di velocità, tanto più che la legge non contiene disposizioni esplicite che vietino questo tipo di aiuti. “È un esperimento e ci piace rischiare”, la sua conclusione.
DoNotPay sostiene di aver insegnato al proprio avvocato virtuale l’arte della verità. Non mente e si attiene ai fatti, così da evitare di incorrere in reati per falsa testimonianza.
Certo, le rassicurazioni della casa madre non bastano per fidarsi e dare il via libera a un sistema potenzialmente in grado di rivoluzionare il settore legale, ma l’esperienza maturata dall’azienda negli ultimi anni fa capire che sottostimarla sia un errore.
DoNotPay opera dal 2015 come chatbot di base, ed è nata con l’obiettivo di aiutare gli utenti a superare le difficoltà burocratiche e legali utilizzando soprattutto modelli di conversazione prestampati. Da quando esiste, ha sempre avuto successo. In meno di due anni, ha contestato e vinto cause per oltre 160.000 multe per divieto di sosta tra New York e Londra. L’azienda sostiene di aver risolto 2 milioni di casi dalla sua fondazione, concentrandosi nel 2020 sull’intelligenza artificiale con il rilascio di ChatGPT.
“La nostra visione a DoNotPay è quella di rendere la legge libera”, dice Browder soddisfatto. Gli studi legali non lo perderanno di vista.