“Erano i capei d’oro all’aura sparsi / che in mille dolci nodi li avvolgea” (Petrarca),
“Sparsa le trecce morbide / sull’affannoso petto” (Manzoni),
“Quando tu mi dirai / Perché mi mordi / E di veleno m’imbevi / io ii risponderò non ti ricordi / che bei capelli avevi?” (Stecchetti),
“M’han tagliato i miei biondi capelli / tu lo sai, eran lunghi eran belli” (canzone). Dunque, per essere apprezzati come ‘belli’, i capelli delle donne dovrebbero essere lunghi e morbidi, ma, soprattutto, biondi, forse perché, come sottintende Petrarca, il biondo è il colore dell’oro, il metallo più prezioso. C’è però almeno un’eccezione che mi torna in mente, e si tratta di un’altra vecchia canzone, il cui refrain diceva “vorrei baciare i tuoi capelli neri”, ma, quasi per correggersi, subito dopo aggiungeva ”ma ciò non posso dire / al biondo mio tesor / perché ha i capelli biondi come l’or”.
Si può tentare di immaginare le origini di questa strana, ma estremamente diffusa esaltazione dei capelli biondi. E’ lecito pensare che i greci pre-omerici – quelli che abitavano il Peloponneso prima di cominciare ad espandersi, fondando le loro colonie in Italia e sulla costa asiatica del Mediterraneo – avessero la carnagione scura e i capelli neri; se non che, in un certo momento, discesero dal nord gli invasori dorici, i quali erano, molto probabilmente, biondi. Senza sterminare le popolazioni autoctone, i Dori ne divennero però la classe dominante e quindi il modello, anche fisico, da ammirare e, nei limiti del possibile, da imitare. Comunque sia, studi recenti hanno fatto rilevare come nelle fonti greche – nella lirica come nell’epica – ritornino spesso non solo aggettivi quali xanthòs e xoutòs, biondo, ma anche espressioni come chrysokóme, chioma d’oro, che richiama da vicino i “capei d’oro” di cui canta Petrarca.
Facciamo un salto di qualche millennio per approdare al 1620, anno in cui – stando a quel che si narra – il re di Francia Luigi XIII, afflitto da una precoce calvizie, lanciò la moda delle parrucche, di cui William Hogarth disegnerà una meravigliosa serie di caricature. Tali parrucche, quasi sempre incipriate di bianco, almeno negli uomini, da una parte crearono una certa uniformità nell’aspetto degli uomini appartenenti alle classi elevate, ma, dall’altra, avevano bisogno di una gran quantità di ‘materia prima’. Fu così che le ragazze povere cominciarono a vendere i loro capelli – e non solo alle signore. Così, il Settecento, il secolo certamente più innovatore della storia moderna, potrebbe anche, per paradosso, essere definito come il ‘il secolo delle parrucche’ : sarà soltanto a Rivoluzione francese a porvi fine, fuorché in Inghilterra (strano paese, tanto innovatore quanto geloso delle sue tradizioni) dove magistrati e avvocati indossano ancora la parrucca durante i dibattimenti.

Oggi, almeno nei paesi occidentali, pare non esserci nessuna norma per quanto riguarda la foggia dei capelli: alcune ragazze portano i capelli molto lunghi, altre sono addirittura rapate a zero. La pettinatura, insomma, pur giocando un ruolo importante nella definizione della propria personalità, non sembra averne uno altrettanto significativo per l’attrazione sessuale. Non saprei dire se esistono ancora società matriarcali, come quelle descritte da Evel Gaserini nel suo ponderoso studio Il Matriarcato Slavo. Nelle società occidentali molte donne occupano posizioni apicali nella politica e nell’economia, mentre non mi pare di aver mai notato un volto femminile nelle pur oceaniche riunioni del Comitato Centrale del partito comunista (?) cinese. Tuttavia, all’interno delle famiglie sembra spesso prevalere l’autorità maritale e paterna, talvolta esercitata anche con la violenza.
Esiste invece uno stato decisamente patriarcale, ma il termine più adatto per definirlo potrebbe essere piuttosto ‘maschilista’ . In verità si tratta di una teocrazia (e, se si potesse parlare del sesso di Dio, non c’è dubbio che lo si dovrebbe definire ‘maschile’). Sto parlando del’Iran, l’antica Persia, nemica dell’Occidente almeno da quando Serse organizzò l’immensa spedizione (dettagliatamente descritta da Erodoto) contro la Grecia, conclusasi con la grande sconfitta di Salamina. Oggi dell’Iran discutono tutti, anzi, costituisce uno dei centri nevralgici del dibattito internazionale. L’ultimo scià, Reza Pahlevi, dopo aver cercato invano di rafforzare il suo regime autocratico, fu costretto a fare ampie concessioni ‘democratiche’, tra cui (addirittura!) il voto alle donne. Come ben noto, Reza Pahlevi venne cacciato dall’Iran in seguito alla sommossa popolare del 1979, dovuta anche allo sconsiderato aumento delle tasse e delle imposte. Morirà al Cairo nel luglio dell’anno successivo. In quello stesso febbraio del 1979 rientrò a Teheran, accolto da una folla festante, l’Āyatollāh Khomeynī per imporvi quella repubblica islamica, di tipo sciita, che aveva elaborato durante il suo lungo soggiorno in Francia. Si trattava di un repubblica presidenziale, quasi un regno, tanto è vero che fu lo stesso Khomeyni a designare il suo successore : l’ayatollah Ali Khamenei (ayatollah, per chi non lo sapesse, significa ‘grande anima’) che assunse l’incarico di guida suprema alla morte di Khomeynī nel 1989. Khamenei, procedendo sulla linea inaugurata dal suo predecessore, concesse ampie libertà all’iniziativa economica privata, ma regolamentò rigidamente i comportamenti pubblici degli uomini e quelli anche privati delle donne. Alle quali fu imposto sempre l’uso dell’hijab, il velo sulla testa, e in alcuni casi del chador, un vestito rigorosamente nero che non ne lasciasse intuire le forme. E proprio da lì è maturata l’attuale ribellione contro l’oppressione del regime teocratico.

Questo ci riporta al tema dei capelli: le donne iraniane li portano particolarmente lunghi, anche perché è fatto loro espresso divieto di tagliarli, se non in caso di lutto. Proprio per questo il primo gesto, simbolicamente fortissimo, di aperta rivolta è stato quello di un gruppo di donne che collettivamente e pubblicamente si sono tagliate i capelli. Ciò significava anche rinunciare alla propria bellezza in nome della libertà – “libertà ch’è si cara come sà che per lei vita rifiuta”.
Oggi si guarda con aperta simpatia alla rivolta in atto contro il regime teocratico, il quale cerca di reprimerla con inaudita ferocia: la polizia spara ad altezza d’uomo e le esecuzioni capitali sono eseguite – ovviamente senza processo – prevalentemente con l’impiccagione, ma alle donne, dopo lo stupro, si preferisce sparare ai genitali. La tortura, intesa a strappare improbabili confessioni, è all’ordine del giorno.
C’è una norma di carattere internazionale che vieta l’ingerenza negli affari interni di un paese straniero. Ma, in questo caso, si tratta piuttosto di crimini contro l’umanità, e ben più gravi di quelli commessi da Putin in Ucraina (dove, comunque, vige uno stato di guerra e di cui lo stesso Putin dovrebbe essere chiamato a rispondere davanti al Tribunale internazionale dell’Aia). In Iran sarebbe auspicabile almeno l’invio di un contingente delle Nazioni Unite, anche perché sulla legalità stessa della Repubblica Islamica è lecito avanzare molti dubbi.
E’ il momento di affrontare la questione afgana. L’Afganistan si estende su un immenso territorio, il cui sottosuolo cela tesori di metalli preziosi, mai ricercati o estratti. Confina con l’Iran, e i due popoli hanno vissuto sempre in stretto contatto, anche perché vi si possono individuare gruppi etnici che parlano le stesse lingue.
Le successive occupazioni sovietica e statunitense avrebbero potuto suggerire agli Afgani di darsi strutture politiche ed economiche più efficienti e moderne – ed era quello che stava succedendo, prima della calata dei Talebani, che si imposero come classe dirigente ben più giovane ed efficiente degli ayatollah iraniani.
Cosa c’entra tutto questo con a questione dei capelli? Niente. Solo che, di recente, le televisioni hanno mostrato una scena, girata evidentemente a Kabul, in cui un gruppo di Talebani esibivano, dileggiandole, alcune ragazze che non solo si erano tagliate i capelli, ma avevano osato addirittura farseli ricci – horribile dictu!
Ricordo che, in chiesa, le donne dovevano coprirsi la testa, qualche volta con un cappellino, ma, più spesso, con un leggero velo, in segno di modestia, lo prescriveva fino al 1983 Il Codice di Diritto Canonico. D’altra parte, anche il Corano (Sura 24) suggerisce alle donne di indossare un velo che scenda dal capo fin sul petto.
Ma, alla fin dei conti, che cosa sono questi ‘capelli’? A cosa servono? Da un punto di vista genetico, potremmo pensare che siano l’ultimo avanzo della peluria che ricopriva i nostri antenati più prossimi, gorilla e scimpanzé, ma, funzionalmente, non sembrano avere nessuna utilità – in quanto calvo lo posso ben sostenere : si vive benissimo anche senza capelli.
Dopo la Resistenza, alcune donne che avevano collaborato con i nazi-fascisti vennero punite con la rasatura dei capelli : le si colpiva nella loro bellezza esponendole al pubblico ludibrio.
E tutto questo solo per segnalare quanta importanza possano aver avuto dei peli nella storia dell’umanità.