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August 4, 2022
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Quattro agenti accusati per la morte dell’afroamericana Breonna Taylor

I poliziotti freddarono la 26enne durante un blitz anti-droga a Louisville, Kentucky

Marco GiustinianibyMarco Giustiniani
Quattro agenti accusati per la morte dell’afroamericana Breonna Taylor

Photo provided by Taylor family attorney Sam Aguiar shows Breonna Taylor in Louisville, Ky.

Time: 2 mins read

Quattro agenti della polizia di Louisville, in Kentucky, sono stati incriminati dal dipartimento della Giustizia per reati federali per la morte di Breonna Taylor, 26enne paramedica afroamericana uccisa nella notte tra il 12 e il 13 marzo 2020 durante un blitz degli agenti in un appartamento dove la donna stava dormendo.

Il ministro della Giustizia Merrick Garland, dando la notizia dell’incriminazione, ha affermato che gli agenti Joshua Jaynes, Kyle Meany, Kelly Goodlett e Brett Hankison sono accusati di violazioni dei diritti civili, abuso della forza e ostruzione alle indagini. Le violazioni dei diritti civili, ha spiegato Garland, consistono nella falsificazione, attribuita a tre degli accusati, della dichiarazione giurata utilizzata per ottenere il mandato di perquisizione “no knock” dell’abitazione dove si trovava Breonna Taylor.

La misura “no knock” autorizza la polizia a sfondare la porta senza preavviso e viene concessa in casi in cui il ricercato ha precedenti penali o è in possesso di armi. Gli agenti inoltre hanno sostenuto di aver annunciato la loro presenza.

L’agente Hankison, materialmente responsabile della morte della donna, era stato accusato di aver “messo in pericolo un suo compagno sparando senza avere una chiara visione del bersaglio”. Hankison è stato assolto lo scorso marzo, suscitando le ire degli attivisti antirazzisti. La giustizia federale, che ha svolto un’indagine parallela, lo ha accusato di “uso eccessivo della forza”, ha spiegato Garland. Il ministro ha quindi accusato gli altri tre agenti di aver mentito agli inquirenti sul mandato di perquisizione che ha innescato la tragedia.

“Gli agenti sapevano che la dichiarazione giurata per ottenere il mandato d’arresto “no knock” conteneva informazioni false e che informazioni importanti erano state omesse”, ha spiegato Garland, “sapevano che si sarebbe potuta creare una situazione pericolosa e questi atti illegali hanno portato alla morte di Taylor”.

US Attorney General Merrick Garland speaks during a press conference with law enforcement partners, at the Justice Department in Washington, DC, USA, 24 May 2022 ANSA/EPA/MICHAEL REYNOLDS

Il 13 marzo 2020 alle due di mattina tre agenti fecero irruzione nella casa di Breonna Taylor, che era in compagnia del suo nuovo partner Kenneth Walker. Gli agenti ricercavano l’ex compagno della donna, coinvolto in un’indagine per traffico di droga. Peraltro l’uomo era stato già arrestato alcuni giorni prima. Sentendo il fracasso della porta sfondata, Kenneth Walker scambiò gli agenti per rapinatori e sparò con una pistola legalmente posseduta. Non colpì nessuno, ma la polizia rispose al fuoco e Breonna Taylor fu crivellata dai proiettili.

Due dei poliziotti, l’agente Joshua Jaynes e l’ex detective Kelly Goodlett, sono accusati di aver utilizzato una falsa dichiarazione giurata per ottenere un mandato di perquisizione per la casa di Taylor, nonostante non ci fossero prove o indizi che lo potessero giustificare. Gli inquirenti federali nel rinvio a giudizio affermano che i quattro poliziotti dopo la sparatoria si sono incontrati in un garage e hanno inventato una storia per eludere le loro responsabilità.

La morte di Breonna Taylor inizialmente non aveva attirato molta attenzione. Il caso era emerso durante le massicce manifestazioni di Black Lives Matter avvenute dopo la morte di George Floyd, l’afroamericano ucciso dall’agente Derek Michael Chauvin nel maggio 2020 a Minneapolis che lo ha soffocato premendo un ginocchio sulla sua trachea mentre giaceva a terra ammanettato.

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