Ora c’è anche il via libera del governo. Priti Patel, ministra dell’Interno britannica, ha ordinato l’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange, fondatore dell’organizzazione divulgativa WikiLeaks che nel 2010 ha raggiunto la notorietà internazionale per aver rivelato documenti Usa secretati, ricevuti dall’ex militare Chelsea Manning e riguardanti crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan.
Tutto ciò arriva dopo dopo mesi in cui, nel Regno Unito, era stata completata la procedura giudiziaria sulla controversa vicenda dell’attivista australiano, che rischia di scontare in un carcere americano una pesantissima condanna.
WikiLeaks ha immediatamente rilasciato una nota in cui dichiara che farà ricorso contro la decisione. “Oggi non è la fine della lotta – si legge – ma solo l’inizio di una nuova battaglia legale”. È probabile pensare che l’appello si concentrerà su capisaldi del diritto internazionale come il diritto alla libertà di espressione, protetto negli Stati Uniti dal primo emendamento della Costituzione.

Assange è dietro le sbarre nel Regno Unito dall’11 aprile 2019, nelle celle della prigione Belmarsh di Sua Maestà, con l’accusa di violazione dei termini della libertà su cauzione conseguente a controverse accuse di stupro della Svezia (poco dopo archiviate).
Nel 2015, la detenzione di Assange e l’ipotesi di un suo trasferimento oltreoceano erano state respinte anche dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla Detenzione Arbitraria, facendo nascere un grande movimento di protesta seguito da appelli dell’opinione pubblica per il suo rilascio.
Il fenomeno aveva assunto una portata tale da attivare persino il relatore dell’ONU sulla tortura, che nel novembre 2019 aveva chiesto pubblicamente che Assange venisse rilasciato e la sua estradizione fosse negata, dichiarazione successivamente fatta propria anche dal Consiglio d’Europa.
“Un giorno nero per la libertà d’informazione e per la democrazia britannica”, ha commentato Stella Morris, legale sudafricana specializzata in diritti umani che ha dato due figli a Julian Assange durante gli anni del suo asilo nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e lo ha poi sposato nei mesi scorsi nel carcere londinese di Belmarsh.
“Chiunque in questo Paese abbia a cuore la libertà di espressione – ha continuato – dovrebbe vergognarsi profondamente. Julian non ha fatto nulla di sbagliato, è un giornalista punito per aver fatto il suo dovere. Priti Patel aveva il potere di fare la cosa giusta, invece sarà ricordata come complice degli Stati Uniti e del loro progetto di trasformare il giornalismo investigativo in un’impresa criminale”.

Nel frattempo, in Gran Bretagna, la notizia ha scatenato il dibattito politico. Attivisti, parlamentari e giornalisti si sono messi in prima linea contro la decisione del governo.
Per Caroline Lucas, deputata dei Verdi per Brighton Pavilion, è “assolutamente vergognoso che Patel abbia approvato l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti: è un modo per creare un pericoloso precedente per la libertà di stampa e la democrazia. Le autorità statunitensi sono determinate a metterlo a tacere perché non gradiscono ciò che ha rivelato”.
Anche l’ex ministro per l’Europa David Davis è voluto intervenire, dicendo con rammarico che “purtroppo non credo Assange avrà un processo equo. Questo trattato di estradizione deve essere riscritto per dare ai cittadini britannici e americani gli stessi diritti, a differenza di quanto avviene ora”.
Il governo australiano (Assange è nato a Townsville) ha dichiarato pubblicamente che il caso di Assange “si è trascinato troppo a lungo e deve essere chiuso”. “Continueremo a esprimere questo punto di vista – ha detto il neo premier con origine italiane Anthony Albanese – sia al governo inglese che a quello degli Stati Uniti”.