Si trova ancora nella sua angusta cella moscovita la cestista statunitense Brittney Griner, sette volte All-Star WNBA, fermata lo scorso 17 febbraio all’aeroporto Sheremetyevo dalle autorità russe mentre stava facendo scalo nella capitale russa per tornare negli USA.
“Traffico internazionale di stupefacenti“, l’accusa degli inquirenti – ma per il Dipartimento di Stato USA si tratta di un classico caso di ritorsione. Il sequestro della 31enne atleta texana è avvenuto infatti una settimana prima che le truppe di Mosca invadessero l’Ucraina, negli stessi giorni in cui la Casa Bianca minacciava durissime sanzioni da parte dell’Occidente in caso di attacco contro Kyiv (materializzatosi di lì a poco). Il Cremlino ha voluto portarsi avanti per un eventuale scambio di prigionieri, la tesi di Washington.
Nella valigia della giovane campionessa, attualmente in forza ai Phoenix Mercury e alla UMMC Ekaterinburg (durante la off-season WNBA), gli agenti doganali russi hanno dichiarato di aver trovato capsule per vaporizzatori a base di marijuana e olio di hashish. Sostanze “leggere” che in Russia – uno dei Paesi con la minore tolleranza in materia di droghe – sono tassativamente vietate, e il cui possesso potrebbe comportare una condanna fino a 10 anni di reclusione.
Potrebbe, per l’appunto. Perché, accuse a parte, un processo vero e proprio deve ancora cominciare. Da metà febbraio Griner è confinata in una prigione nei pressi di Chimki, nella regione di Mosca, in regime di custodia cautelare. L’ultimo rinvio è datato 13 maggio, quando alla campionessa WBNA e al suo legale russo Aleksandr Bojkov è stato comunicato un ulteriore prolungamento della carcerazione preventiva: stavolta fino al 18 giugno. Entro l’estate, forse, l’inizio del processo.
Nel frattempo Griner starebbe condividendo la sua cella con altre due detenute anglofone, anch’esse al fresco per reati legati alla droga. Non certo una passeggiata di salute, specialmente per una ragazza alta un metro e novanta costretta a dormire su materassi pensati per donne di almeno 20 cm più basse.
Nelle ultime settimane la cestista nativa di Houston ha ricevuto centinaia di manifestazioni di solidarietà. Non solo dalla diplomazia statunitense, che è alacremente al lavoro per ottenere la (politicamente difficile) scarcerazione della concittadina, ma anche dalla comunità sportiva e dalla gente comune. Centinaia di e-mail e lettere che le sono state spedite da ogni angolo dell’America, e che vengono sottoposte alla rigida censura preliminare dei carcerieri russi.
Tra le missive, anche quelle di Cherelle Griner, moglie di Brittney. In un’intervista esclusiva a Good Morning America, la donna ha dichiarato che non comunica telefonicamente con la moglie da quando le autorità russe hanno sequestrato lo smartphone della cestista.
“È una pedina politica, quindi se la tengono perché vogliono che tu (Biden) faccia qualcosa, pretendo che tu lo faccia”, il disperato appello di Cherelle in TV alla Casa Bianca. Con un filo di rassegnazione in volto: “A questo punto, non so nemmeno chi riaccoglierò quando mi verrà restituita”.
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