Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, è negli Stati Uniti per incontrare gli azionisti del gruppo. Parlando con loro ha capito una cosa: gli americani oggi si concentrano sulla sicurezza energetica.
“Durante il Covid e fino a giugno 2021 il 90% delle domande era sulla transizione energetica – racconta – poi è cambiato tutto. La preoccupazione degli investitori è riuscite a fare investimenti, avere riserve. C’è stata una virata incredibile”.
È anche questo il motivo per cui Eni ha deciso di diventare il principale azionista di un progetto messo a punto dal Commonwealth Fusion System che riguarda la realizzazione entro il 2030 di un reattore pilota per produrre energia pulita a bassissimo costo. “Abbiamo collaborato con il team del CFS negli ultimi anni perché abbiamo riconosciuto come il loro lavoro sia in grado di trasformare il panorama energetico”, ha spiegato Descalzi alla stampa italiana.
Si parla di fusione che, al contrario della fissione, è un processo più pulito e sicuro, perché non produce scorie pericolose: si combinano gli isotopi dell’idrogeno che si fondono a temperature elevatissime (circa dieci volte quella del Sole) e che vanno poi confinati tramite campi magnetici. Dal vapore si produce energia: “È quindi un’energia che scaturisce dall’acqua e per questo non comporta la necessità di disporre di un fabbisogno idrico ingente”, ha proseguito Descalzi.
Un’idea fondamentale in un momento in cui le principali economie del Pianeta stanno facendo i conti, dal punto di vista energetico, con gli effetti del conflitto ucraino.
“Assistiamo ora a rapporti di forza tra chi produce energia e chi non ce l’ha – ha spiegato l’ad – ma potrebbero essere presto superati perché tutti i Paesi potrebbero produrre elettricità a bassissimo costo”.