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Cent’anni fa il massacro del quartiere afro-americano di Tulsa in Oklahoma

Il 31 maggio 1921, la “Black Wall Street” della città del Mid West veniva rasa al suolo dalla comunità bianca. Nessuno è mai stato condannato.

Alessandro CasiraghibyAlessandro Casiraghi
Cent’anni fa il massacro del quartiere afro-americano di Tulsa in Oklahoma

Massacro di Tulsa in Oklahoma, 1921 (Tulsa Historic Society)

Time: 5 mins read

Tulsa è una piccola città dell’Oklahoma, proprio nel bel mezzo dell’America. All’inizio del secolo scorso, la città fu la destinazione per diversi afro-americani. La maggior parte di loro erano in fuga dalle persecuzioni razziali che subivano negli stati del Sud. Infatti, nonostante la fine della schiavitù fosse stata approvata nel 1865, una serie di leggi locali (le Jim Crow laws) continuavano a promuovere la segregazione tra bianchi e neri. Per questa ragione alcuni uomini e donne di colore decisero di trasferirsi più a nord, in fuga dalle persecuzioni razziali e alla ricerca del sogno americano.

Coppia di giovnani afro-americani di fronte al cinema della “Black Wall Street” di Tulsa, 1921 Street(americanhistory.si.edu)

A Tulsa una comunità di afro-americani trovò lo spazio per gestire e far prosperare professioni e piccole imprese esclusivamente di colore. Fu il commerciante O.W. Gurley che pose le basi per la comunità afro-americana di Tulsa quando, nel 1906, decise di acquistare 40 acri (16 ettari) di terreno, con l’obiettivo di concederli soltanto a persone di colore. Il quartiere prese il nome di Greenwood e ben presto divenne la mecca per afro-americani in cerca di opportunità economiche e diritti sociali. Nel 1921, la popolazione di Greenwood contava circa 10.000 persone. 

Poiché le leggi razziali non consentivano agli afro-americani di usufruire dei negozi gestiti da bianchi, i lavoratori e le famiglie della comunità nera di Greenwood si rivolsero ai negozi di proprietà di neri, innescando un processo di crescita economica esponenziale. Il quartiere era così fiorente e prospero che venne soprannominato “Black Wall Street”.

Tulsa si trovò così presto ad essere una città separata in due: da una parte il quartiere bianco e dall’altra il quartiere nero di Greenwood.

Lustrascarpe afro-americano nell’American

La mattina del 30 maggio 1921, Dick Rowland, un diciannovenne di colore che fa il lustrascarpe, viene accusato di aver molestato una ragazza bianca, Sarah Page, nell’abitacolo di un ascensore. Il giorno seguente, lo sceriffo della città arresta Rowland e apre un’indagine (che più tardi sarà chiusa senza condanne a suo carico). L’arresto del ragazzo – e le notizie che circolano di un suo possibile linciaggio da parte dei bianchi – aumentano la tensione tra le due comunità. Folle armate di bianchi e neri si scontrano intorno al palazzo di giustizia. Vengono sparati dei colpi di pistola e gli afroamericani, in minoranza, si ritirano nel distretto di Greenwood. 

Massacro di Tulsa in Oklahoma, 1921 (wikipedia)

Nelle prime ore del mattino del 1° giugno 1921, Greenwood è saccheggiata e rasa al suolo da una folla di bianchi. Secondo la relazione finale della “Commissione dell’Oklahoma per studiare la rivolta razziale di Tulsa del 1921”, redatta da Danney Goble nel 2001 la folla “rubò, danneggiò o distrusse i beni personali lasciati nelle case e nelle aziende (di Greenwood, ndr)”. 

A seguito dello scoppio degli scontri, l’allora governatore dello stato, Robertson, dichiara la legge marziale e le attiva le truppe della Guardia Nazionale. Anche gli agenti del governo prendono parte ai saccheggi e alle devastazioni del quartiere. I soldati imprigionano le persone di colore che non sono già state arrestate dai civili. Più di 6.000 persone vengono trattenute nella Convention Hall, alcune per ben otto giorni. Persino alcuni velivoli civili sorvolano il quartiere per aiutare ad abbattere gli edifici.

Massacro di Tulsa in Oklahoma, 1921 (flickr)

Le violenze durano per ventiquattro ore.  Al loro termine, Nel complesso, si stima che vengono ridotti in cenere 1.256 edifici, tra cui negozi, chiese, scuole, imprese, persino un ospedale e una biblioteca. Ben 35 isolati della città sono ridotti in rovine, carbonizzate. Più di 800 persone risultano ferite. Vengono registrati almeno 36 morti, ma la commissione d’inchiesta ha stimato siano molti di più. “Anche se il totale esatto non potrà mai essere determinato – dice la relazione – prove credibili rendono probabile che molte persone, si stima tra le cento e le trecento, siano state uccise durante la rivolta”.

Fino a poco tempo fa, il massacro di Tulsa è stato l’evento più importante e meno conosciuto della storia dell’Oklahoma. Fu grazie ai lavori della commissione d’inchiesta istituita nel 2001 e grazie alle testimonianze dei sopravvissuti che è stato possibile chiarire diversi aspetti della vicenda.

“L’intento era quello di intimidire un’intera comunità, di farlo conoscere e di farlo vedere. Quelli che hanno premuto i grilletti, quelli che hanno acceso i fiammiferi – solo loro erano i trasgressori della legge. Quelli che hanno incoraggiato le violenze e quelli che sono rimasti in silenzio – erano responsabili”, dice la relazione. E continua: “Questi non sono miti, non sono voci, non sono speculazioni o incertezze. Sono realtà storica.”

Viola Fletcher, sopravvissuta al massacro di Tulsa, testimonia in Senato (democracynow)

Nel maggio 2021, cento anni dopo il massacro, la 107enne Viola Fletcher ha testimoniato davanti al Congresso: “Il 31 maggio del ’21, andai a dormire nella casa della mia famiglia a Greenwood”, ha raccontato. “Il quartiere in cui mi addormentai quella notte era ricco, non solo in termini di denaro, ma di cultura, e di patrimonio. La mia famiglia aveva una bella casa. Avevamo ottimi vicini. Avevo amici con cui giocare. Mi sentivo al sicuro. Avevo tutto ciò di cui un bambino può avere bisogno. Avevo un futuro luminoso”.

Poi, ha detto, arrivò la furia omicida, ancora vivida nella sua mente 100 anni dopo: “Vedo ancora uomini neri che vengono colpiti, corpi neri che giacciono in strada. Sento ancora l’odore del fumo e vedo il fuoco. Vedo ancora le imprese nere che vengono bruciate. Sento ancora gli aerei volare sopra di me. Sento le urla”.

G.T. Bynum, sindaco repubblicano di Tulsa (OK)

“Penso che il più grande errore nel commemorare il centenario sia nel caso in cui le persone pensassero, ‘Beh, è solo qualcosa che è successo cento anni fa’, e non riflettessero su quanto invece si riferisca all’America di oggi”, ha detto il repubblicano G.T. Bynum, sindaco di Tulsa (OK). 

In effetti di similitudini ce ne sono non poche. Nel 1918 (tre anni prima del massacro), 7,350 cittadini dell’Oklahoma morirono a causa dell’influenza spagnola; ad oggi sono 7,291 sono le vittime di coronavirus nello stato. Con la fine della prima guerra mondiale, l’America affrontava gli effetti delle armi da guerra sui reduci che ritornavano dal fronte; oggi i soldati tornano dall’Iraq e dall’Afghanistan. All’inizio degli anni venti il Ku Klux Klan era in espansione; oggi il suprematismo bianco è una delle prime minacce di terrorismo domestico e la commemorazione per il centenario di Tulsa è stata cancellata per potenziali attacchi terroristici. All’inizio degli anni ‘20 le leggi di Jim Crow limitavano il diritto di voto della comunità afro-americana; oggi diversi stati guidati da governatori repubblicani promuovono leggi per limitare il diritto e la libertà di voto.

Comizio di Donalda Trump a Tulsa, Oklahoma, 21 giugno 2020 (flickr)

Il 21 giugno del 2020 (a poco meno di un mese dall’omicidio di George Floyd), è proprio a Tulsa che Donald Trump decide di aprire la sua campagna elettorale per le presidenziali. La scelta di un luogo così simbolico, in un momento in cui le tensioni razziali erano molto forti, aveva scatenato le polemiche tra democratici e repubblicani. Nel suo discorso a Tulsa, Trump non aveva fatto riferimento nemmeno una volta al massacro del 1921.

Domani, martedì 2 giugno 2021, il presidente Joe Biden è atteso nella città dell’Oklahoma per commemorare il centenario del massacro.

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Alessandro Casiraghi

Alessandro Casiraghi

Sono affascinato dalle storie del mondo. Dalla Valle d'Aosta sono sbarcato nelle strade del Bronx, come un alieno. New York mi ha regalato l'amore. Ma continuo ad avere nel cuore le mie montagne, così come chi le viveva con me. Genitori, parenti, amici. Quando scrivo penso soprattutto anche a loro. Italiano? Credo di sì, l'Italia è il luogo in cui sono nato. Americano? Sicuramente quando accetto di mangiare nelle catene di fast food. Italo-Americano? Devo ancora capire davvero quello che significa. Non mi accontenterò delle risposte banali.

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