La stazione della metropolitana più trafficata di New York è ‘Times Square – 42nd Street’ con più di 66 milioni di transiti annuali (prima della pandemia).
L’11 dicembre 2017, alle 7:20 di mattina – una delle ore di punta per la città – una bomba esplode all’interno del passaggio sotterraneo tra la Settima e l’Ottava Avenue, proprio all’altezza di Times Square. Quattro persone rimangono ferite non gravemente e le linee della metropolitana rimangono ferme per alcune ore.
Più tardi vengono rinvenute una bomba a tubo – riempita con zucchero e luci dell’albero di Natale – e una batteria che fungeva da detonatore.

Dopo l’esplosione, i membri del Port Authority of New York e il Dipartimento di Polizia del New Jersey trovano Akayed Ullah – all’epoca 28enne – steso a terra nelle vicinanze dell’esplosione. I filmati di sorveglianza riprendono Ullah mentre cammina nel terminal della metropolitana e fa esplodere la bomba.
Le indagini riveleranno che Ullah si era fabbricato da solo il dispositivo nella sua residenza di Brooklyn, riempiendolo anche con viti metalliche. Sperava avrebbero causato più vittime possibile. Poco prima dell’attentato, Ullah aveva pubblicato su Facebook un avvertimento: “Trump hai fallito nel proteggere la tua nazione”.
L’attentato dell’11 dicembre è stato il primo tentativo di attacco suicida a New York City dall’11 settembre 2001, ed è stato l’ennesimo attacco terroristico organizzato da un ‘lupo solitario’. Con questo termine si intende qualcuno che pianifica e progetta un attentato in forma del tutto autonoma, senza fare riferimento a nessun capo o gerarchia. Ma semplicemente perché ispirato da una particolare ideologia, magari legata a gruppi stranieri. Una specie di kamikaze autodidatta.
Secondo i documenti del tribunale e le prove presentate al processo, Ullah ha iniziato a radicalizzarsi nel 2014 circa. Dissentiva con la politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente e ha iniziato a cercare materiali online che promuovono l’ideologia terroristica islamica radicale. In particolare, Ullah è stato ispirato dalla propaganda dell’ISIS. Aveva iniziato a cercare su internet informazioni su come costruire una bomba circa un anno prima dell’attacco.
In seguito alla morte del padre, Ullah si convertì al salafismo, una scuola di pensiero sunnita. La moglie e il figlio di Ullah vivono in Bangladesh. Nella sua abitazione teneva libri di Muhammad Jasimuddin Rahmani, il leader spirituale del gruppo estremista Ansarullah Bangla Team, legato al gruppo terroristico al-Qaeda nel subcontinente indiano. Ullah aveva scritto sul suo passaporto “OH AMERICA, MUORI nella tua rabbia”.
Mentre era in custodia presso il Metropolitan Correctional Center, Ullah ha iniziato a cantare “Ne stanno per arrivare altri” a un agente, e poi ha aggiunto: “Avete iniziato questa guerra, e noi la finiremo. Ne arriveranno altri, vedrai”.
Durante il processo, Ullah ha negato di essere un simpatizzante dell’ISIS, dicendo che “era arrabbiato con Donald Trump perché ha detto che avrebbe bombardato il Medio Oriente per proteggere gli Stati Uniti”.
Un articolo del NYTimes racconta la sua vita dicendo: “Un uomo con i piedi in due continenti, Akayed Ullah ha vissuto una vita divisa tra il Bangladesh e Brooklyn”. E commentando il suo atto terroristico, aggiunge: “Sembrava che le divisioni nella sua vita fossero più che geografiche”. Nasce e cresce a Dhaka, in Bangladesh, dove suo padre gestisce un negozio di alimentari nel quartiere di Hazaribagh, che è sede di diverse concerie.

All’età di 21 anni si trasferisce in America, lavorando come tassista. A Brooklyn frequenta la moschea Masjid Nur al Islam. L’Imam della moschea si ricorda di quando Ullah aveva fatto una domanda sulle diversità religiose durante una breve lezione spirituale. “Era troppo occupato a confrontare le religioni” ha detto l’Imam “Dovrebbe imparare a pregare, gli ho detto. Invece di occuparsi di altre religioni, dovrebbe concentrarsi sulla sua religione“. Nel 2004, la Polizia di New York ha incluso la moschea nella sua lista delle “Moschee di interesse”.
Un articolo del Brooklyner del 5 dicembre 2017 (sei giorni prima dell’attentato) mostra i video di una protesta di alcuni fedeli proprio fuori dalla moschea. Chiedevano all’Imam di andarsene, perché – con i $350.000 dollari che aveva raccolto nella comunità religiosa, e usando alcuni trucchetti legali – era riuscito a diventare il proprietario della struttura. L’Imam aveva sbattuto fuori dalla moschea i fedeli, e loro protestavano per poter rientrare.

Ullah era stato già condannato nel 2018 per l’attentato, con diversi capi d’imputazione: 1. fornitura di supporto materiale e risorse a un’organizzazione terroristica straniera (fino 20 anni di carcere); 2. utilizzo di un’arma di distruzione di massa (ergastolo, pena massima); 3. attentato in un luogo di uso pubblico (ergastolo, pena massima); 4. distruzione di proprietà per mezzo di fuoco o esplosivi (da un minimo di 5 fino a 20 anni di prigione); 5. uso di un dispositivo distruttivo in favore di un crimine di violenza, (da un minimo di 30 anni fino all’ergastolo).
Questa mattina, il Procuratore del Distretto di New York del Dipartimento di Giustizia ha annunciato la sentenza all’ergastolo.
Il procuratore di Manhattan, Audrey Strauss, ha dichiarato: “Akayed Ullah ha ammesso che intendeva uccidere quanti più americani innocenti possibile. Il motivo di Ullah era chiaro e inequivocabile: un profondo odio ideologico per l’America”.
L’assistente procuratore generale, John C. Demers, ha aggiunto: “Questo caso ci ricorda che la minaccia del terrorismo ispirato dall’ISIS rimane reale”.