David Dinkins, il primo e finora unico sindaco afroamericano di New York, è morto lunedì 23 novembre all’età di 93 anni per cause naturali. A dare la notizia è stato il dipartimento di polizia di New York.

Con la sua elezione nel 1989, Dinkins vinse le barriere razziali e fece la storia. Cresciuto a Trenton, nel New Jersey, e ad Harlem, era figlio di un uomo d’affari e di una governante, che divorziarono quando il piccolo David aveva sette anni. Dopo il liceo, si unì ai Marines e successivamente si laureò in matematica alla Howard University, dove incontrò anche sua moglie, Joyce Burrows, figlia di un legislatore di Harlem, divenuto poi un mentore per Dinkins. Si laureò alla Brooklyn Law School e salì nei ranghi dell’establishment politico di Harlem, conquistando un seggio all’Assemblea statale nel 1965. Divenne presidente del Board of Elections, consigliere comunale e presidente del distretto di Manhattan, e fu membro del leggendario gruppo di intermediari politici di Harlem più tardi conosciuto come Gang of Four. Nel 1989, sfidò Ed Koch alle primarie democratiche.
Dinkins guadagnò un’ondata di sostegno tra gli elettori afroamericani e bianchi liberali, insoddisfatti dal governo di Koch, che stava affrontando in una serie di scandali di corruzione. Ma ebbe anche l’appoggio di diversi esponenti della comunità italoamericana che non gradivano l’orientamento di destra del procuratore Giuliani.
Alla vigilia delle elezioni, l’omicidio di un adolescente nero, Yusuf Hawkins, da parte di una banda di bianchi a Bensonhurst – quartiere allora ancora in prevalenza italo americano – alimentò le tensioni razziali. Dunque, Dinkins riuscì a sconfiggere il sindaco con otto punti percentuali e poi affrontò il duro procuratore degli Stati Uniti Rudy Giuliani nelle elezioni generali. Dinkins ottenne sorprendentemente la vittoria solo per due punti, diventando il 106° sindaco della città e facendo la storia come il primo sindaco afroamericano.
Dinkins dimostro’ subito il suo affetto per l’Italia e per gli italo americani che lo avevano sostenuto inserendo nel programma del suo viaggio in Sudafrica per incontrare Nelson Mandela una visita ufficiale a Roma, che ne fu il preludio per la creazione del gemellaggio tra le due grandi metropoli e più recentemente partecipando in consolato ad un Giorno della Memoria con la lettura di nomi di ebrei Italiani vittime dell’Olocausto.
Ma dopo la speranza e l’ottimismo della sua storica vittoria, Dinkins dovette affrontare enormi sfide fiscali. Il paese era in recessione e la città aveva un divario di bilancio di oltre 1 miliardo di dollari. Il sindaco aumentò le tasse, e poi si trovò alle prese con la follia criminale nel 1990 che mandò la città ulteriormente in crisi. Nell’estate del 1991, le rivolte di Crown Heights esplosero, con proteste razziali, la più violenta sempre a Brooklyn dopo che un autista chassidico uccise un ragazzo afroamericano. Dinkins affrontò pesanti critiche da parte di molti nella comunità ebraica. Le rivolte a Washington Heights due anni dopo si aggiunsero alla tensione razziale. Ma Dinkins fece anche del bene alla città: creò centri giovanili after-hour, lanciò un programma sanitario per i newyorkesi a basso reddito, mettendo più poliziotti per le strade e creando il comitato di revisione dei reclami della polizia civile, sebbene uno scandalo di corruzione della polizia avesse scosso la città. Un momento emozionante per il sindaco fu quello di accogliere Nelson Mandela nell’estate del 1990.

Ma la sua corsa alla rielezione nel 1993 si trasformò in un’amara rivincita contro il rivale Giuliani. L’ex procuratore ammorbidì la sua immagine, ma si impegnò anche a reprimere i problemi di criminalità. Dinkins stava affrontando una serie di scandali e solo due mesi prima delle elezioni, un devastante rapporto commissionato dallo stato sui disordini di Crown Heights descrisse l’amministrazione come inetta. Tuttavia, Dinkins godeva dell’approvazione nazionale di alto profilo, del calibro del presidente Bill Clinton. Dinkins teneva unita la sua base afroamericana, mentre Giuliani faceva affidamento sugli elettori bianchi timorosi del crimine e dei problemi economici della città. Alla fine Giuliani superò Dinkins per due punti, lo specchio opposto di quanto successe quattro anni prima. Dinkins respinse le richieste di riconteggio, dicendo che la città aveva bisogno di riconciliazione. “Aiuteremo Rudy. E facendo così, aiuteremo la nostra città”, disse.
Dopo aver lasciato l’incarico, Dinkins rimase una presenza negli ambienti politici e sociali della città. Ospitò un programma radiofonico settimanale e insegnò relazioni pubbliche alla Columbia University, attirando grandi nomi al suo forum annuale sulla leadership. Un appassionato giocatore di tennis, nel 2008, subì un intervento al cuore, ma promise di riprendere rapidamente la sua racchetta molto presto. E sebbene abbia approvato due volte Bill Thompson come sindaco, fu anche un sostenitore dell’uomo che lo sconfisse nelle primarie democratiche del 2013, il sindaco Bill de Blasio – che incontrò sua moglie, Chirlane, quando entrambi da giovani erano membri dello staff dell’amministrazione Dinkins. De Blasio avrebbe onorato Dinkins ribattezzando col suo nome l’edificio municipale a Lower Manhattan nel 2015.
Dinkins, che sarà ricordato anche per la sua eleganza, resterà per sempre nella grande storia di New York.