Chi si aspetta di vedere ruscelli scorrere sulla Luna, dopo quest’ultima scoperta annunciata a gran voce in tutto il mondo, resterà sicuramente deluso. Ma la notizia appena pubblicata dalla rivista accademica Nature Astronomy e dalla NASA è realmente sensazionale: un telescopio installato sul robusto pianale di un Boeing 747SP modificato, denominato SOFIA (Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy), ha fornito la prima prova diretta e inequivocabile della presenza di molecole d’acqua sul nostro satellite naturale, con una quantità stimata tra le 100 e le 400 parti per milione. Il progetto, che vale 350 milioni di dollari, è stato messo a punto dall’ente americano e dall’agenzia spaziale tedesca DLR: con questi dati raccolti poi le due agenzie hanno avanzato l’ipotesi di altri vasti giacimenti al di sotto di un’importante regione di crateri nell’area più a sud del piccolo globo. Questo punto però è ancora da dimostrare.

Da tempo gli scienziati sono convinti che sulla Luna possa esserci acqua e precedenti ricerche ne avevano indicato una possibile esistenza nel suo emisfero meridionale, lontano dai raggi solari. Tra le principali ricerche, ricordiamo le rilevazioni dallo strumento Moon Mineralogy Mapper (M3) montato a bordo della sonda Chandrayaan-1 dell’Agenzia Spaziale Indiana, con il contributo scientifico di ESA e NASA; la missione era composta da un orbiter che ha scrutato il suolo dalla quota di 100 km individuando probabili depositi di ghiaccio ai poli e da un impattatore che ne ha percepito esili tracce a livello gassoso durante la discesa al suolo. E prima ancora, la sonda Clementine della Strategic Defense Initiative (SDI) e dalla NASA, lanciata nel lontano 1994. Sia pur progettata per raccogliere immagini ed effettuare misure altimetriche, durante i quattro mesi di viaggio fu pensato di utilizzare il trasmettitore dell’apparecchiatura principale di Clementine per esplorare i fondali oscurati dei crateri ai poli lunari: se l’energia fosse stata riflessa e captata sulla Terra, la scoperta avrebbe potuto dare inizio al dibattito su dove si trovasse nascosto il ghiaccio. I risultati diedero una qualche ragione, sia pur ancora teorica, alle aspettative degli investigatori. Ghiaccio, ovviamente perché se esistesse acqua allo stato liquido, la sostanza evaporerebbe immediatamente, scacciata dai venti solari che sulla Luna sono liberi di muoversi senza essere fermati dalla preziosa atmosfera.
Ora, tralasciamo le tecniche di osservazione, che potrebbero risultare noiose nei dettagli tecnici ed entriamo più direttamente nel contenuto della ricerca.
La scoperta appena rilevata dagli scienziati americani e europei ha nuove peculiarità e mostra che l’uso sinergico di tutti i mezzi disponibili per effettuare un’indagine sono essenziali per il buon risultato della ricerca scientifica. Utilizzare un aeroplano piuttosto che un sistema orbitante ha sostanziali vantaggi economici e permette il riutilizzo del mezzo e la sostituzione delle apparecchiature montate secondo le esigenze dei ricercatori. Le riprese a oltre 40.000 piedi dal livello del mare non eliminano gli effetti distorcenti dell’atmosfera, ma ne attenuano consistentemente i suoi disturbi.

Pertanto dire che le sonde lunari possano essere sostituite da un grosso Jumbo è assolutamente improprio. Al contrario, la rilevazione mineralogica o fisico-chimica di alcune aree del sistema solare con più mezzi di diverse vocazioni e prestazioni – siano essi satelliti, lander o sonde automatiche – è attualmente considerata dai più affermati scienziati come la via preferenziale per dar risposte certe alle ricerche di maggior impegno.
E questa volta SOFIA ha realmente individuato in profondità la presenza di acqua allo stato solido con l’ampia gamma di infrarosso impiegata: poiché la segnatura elettromagnetica dà la certezza scientifica dell’analisi effettuata, l’esame effettuato da SOFIA ha riportato una verità importante. Un tassello che se dà un modesto valore scientifico alla dinamica della conoscenza della genesi lunare, già offre importanti speranze per immaginare concretamente la fattualità di una colonizzazione non lontana. Ma bisogna muoversi ancora con la necessaria consapevolezza di essere appena all’inizio del lungo percorso.
Rispetto alle indagini precedenti infatti si è compreso che le riserve di acqua da estrarre dal sottosuolo lunare sono maggiori del passato, in cui la stima era ottimisticamente di tre parti per milione. Comunque le quantità riscontrate al momento ancora non sono sufficienti a un utilizzo in larga scala. In linea di massima, sulle conoscenze attuali, per ottenere 400 litri di acqua, occorre compiere l’estrazione su un campione di un milione di metri cubi di suolo lunare. L’acqua è ancora poca per garantire una popolazione massificata del satellite.
Ma è pur sempre un inizio e – è doveroso chiederci – quanto sia importante la presenza dell’acqua sulla Luna e cosa ci si aspetta da questa scoperta.
L’acqua è un bene primario per la sopravvivenza e per qualsiasi applicazione possa essere immaginata per la vita animale e vegetale. Il trasporto del prezioso elemento dalla Terra è inimmaginabile, sia per il costo che impone il carico sui lanciatori che per le altissime complicazioni di stivaggio: i recipienti devono essere pressurizzati e a prova di fuoriuscite per i danni che potrebbe arrecare una perdita sia all’interno di un ambiente abitato che all’esterno di veicoli progettati per volare in assenza di ossigeno.

Infatti, con la molecola dell’acqua, oltre che per i fabbisogni umani, si può ricostruire un ambiente atmosferico, così come si può creare la base di propellenti, in combinazione con altri elementi, per spingere i mezzi necessari al trasporto spaziale. Pertanto, la scoperta della NASA siamo certi che aprirà una serie di prospettive, assai utili al programma Artemis, che nel giro di un quadriennio potrebbe allentare uno spiraglio sull’impianto di laboratori abitati sul nostro satellite che con la sua gravità, per quanto assai inferiore a quella terrestre, sarebbe sicuramente più compatibile della quasi nulla gravità della Stazione Spaziale Internazionale a cui sono sottoposti gli astronauti. I vantaggi sarebbero sostanziali: recuperare gli elementi intrappolati nella regolite (l’insieme di sedimenti e frammenti di materiale che compongono lo strato più esterno del suolo lunare) potrebbe risolvere sostanzialmente il fabbisogno energetico del nostro pianeta, ma la Luna sarà una piattaforma privilegiata per l’osservazione del nostro pianeta e dei suoi eventi naturali.
E in un futuro, non sappiamo quanto prossimo, la Luna sarà la base di partenza per raggiungere Marte, con viaggi più rapidi e meno dispendiosi di quelli attualmente in uso dalla Terra.
La Luna è stata a lungo l’elemento di competizione scientifica e tecnologica tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La corsa non si è fermata: ora la Cina ha preso il posto del principale competitor americano e gli obiettivi sono più orientati ad un’utilizzazione economica e razionale dello spazio e delle sue ricadute scientifiche. In questa corsa al momento l’unico partner europeo è l’Italia, con una partecipazione attiva, sia di competenze, che industriale per un programma che offre grandi prospettive e forti interessi economici a chi arriverà per primo alla grande corsa che l’umanità si sta preparando a compiere.
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