“La domanda è questa: i rappresentanti del paese vengono a sedere nell’aula consiliare per sostenere le idee che passano loro per il capo, e siano pure provvide e giuste, o non piuttosto per eseguire il mandato che ripetono dal popolo sovrano?… Certamente per tutelare gli interessi, per soddisfare i bisogni del popolo che rappresentano. Ora, di fronte alla quistione che ci occupa, il paese ha una volontà? Se sì, qual è dessa?… Signori del Consiglio, sarebbe vano nasconderlo: il paese, o per lo meno la più gran parte di esso, vuole la festa!”.
Così, Federico De Roberto faceva proclamare a Consalvo Uzeda, Principe di Mirabella e Francalanza, agli esordi di una scalpitante carriera politica che, dal “vecchio” potere dei Vicerè, passava a guidare quello “nuovo”.
Ma sbaglierebbe chi si soffermasse solo sulla figura dell’uomo che parla, supponendo una passiva ricettività dell’uditorio, quasi incolpevole e ignara. Certo, risuona fin troppo presente e immediato quel tono mellifluo: che vuole accantonata la responsabilità delle “idee”, “e siano pure provvide e giuste”: essendo l’unica vera “idea”, l’unica che vale la pena di perseguire, quella di mimare una sottoposizione, che è invece una diserzione; una sintonia, che è invece una mistificazione: “eseguire il mandato che ripetono dal popolo sovrano”.
Sbaglierebbe, però: perché il cuore di questa immagine risiede, invece, proprio in quel “vuole”, in cui il “popolo sovrano” presenta la sua decisione, e la volge al suo oggetto: “la festa!”. La concordia, fra l’uno e i molti, allora, non può che assumere i caratteri dell’esaltazione, del trasporto irrefrenabile, dell’acclamazione esplosiva: “uragano d’applausi”, sarà, infatti, la formula che il grande scrittore catanese, a suggellare questo quadro, affida all’ideale prosa resocontistica di un cronista politico.
Oggi nasce il Governo Lega-M5S. E se ne potrebbero discutere i caratteri; nè mancherebbe (o mancherà) materia: dalla gestazione abortiva al miracolo (nel senso neutro del termine) del forcipe; dalla clamorosa acefalìa (nulla di organico, per carità! Solo nel senso di un Presidente del Consiglio che è presieduto e che, pertanto, non è) al simbolismo berlusconiano (il “Contratto con gli italiani”, al confronto col ben più incisivo “Contratto di Governo”, scolora ad innocente divertissement); dall’ambiguità programmatica nella materia economica e nella collocazione sovranazionale, alla rivendicata superfluità dell’esperienza (e non si dice di competenze) quale nutrimento della responsabilità istituzionale: uno per tutti, oggi su Il Fatto Quotidiano, si legge, e ne traspare un trasporto psichedelico, della “sorpresa Toninelli, che guiderà le Infrastrutture, dopo l’esperienza partita coi meetup nel 2009”. Il meetup: quanto a dire “La Festa come pensiero e come azione”. Da Croce alla Casaleggio & Associati.
Ma che si fa, quando, per un affare importante, si è obbligati ad interloquire con una persona che appare come si teme non sia, o che non appare come si teme sia? Si tenta di coglierne l’essenza, il profondo motivo ispiratore. E così facciamo qui, con “Il Governo del cambiamento”: motivo ispiratore che pare proprio quello: “la festa!”.
Come farla, allora, questa “Festa”? Da una favola maligna, (almeno) le due ultime generazioni di italiani sono stati educati (cioè, diseducati) alla sfiducia in sè stessi; c’era, e c’è, sempre un Grande Nemico a cui imputare una colpa. Pertanto, evitato con cura qualsiasi specchio, ecco che la Repubblica, non era una vera Repubblica, ma “una banda di ladri”, “che ci hanno tolto tutto”. Una retorica apocalittica che, con questa assiduità monomaniacale, non si era sentita nemmeno nel maggio 1945: quando non c’erano neanche cinquanta centimetri consecutivi di strada continua in tutta la Nazione.
Il Grande Nemico l’ha sempre fatta franca, si è fregato i nostri soldi; e senza mai precisare, e distinguere, fra reato e persecuzione, fra maltolto e invidia, si è sobillato il desiderio del pogrom risolutore, dello “Spazio Vitale”: da conquistare con “Pene & Confische”, la nuova Wehrmacht. Perché, come recita uno dei primi articoli di questa Dottrina del Veleno (il neo Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, pare sia abilissimo a prendere appunti), l’Italia è un Paese in cui ci sono “otto-dieci milioni di evasori fiscali”, e dove è elevata a reato “la condotta tipica di dieci milioni di persone” .
Il Grande Nemico lo si trova dappertutto: oltre che “L’Evasore” è “Il Corrotto”, è “Il Mafioso”, e persino “L’Immigrato”; che, sebbene male in arnese e, pertanto, inadatto a subire l’espropriazione necessaria per “La Festa”, servirà comunque “a fare spazio” (come se una Nazione di emigranti non conoscesse certe feroci suggestioni, utili solo ad incattivire ed eludere: e a incattivire mentre eludono, e ad eludere mentre incattiviscono); e, soprattutto, a contribuire all’esercizio dell’Apparato, del Bargello, del Boia.
Ovviamente, come non contano le persone, così non conteranno le reali dimensioni della “condotta tipica”, persino la sua reale esistenza. Alla peggio, basterà il fantasma del “pericolo”, da sottoporre a “Misura di Prevenzione”, e tutto tornerà lo stesso. Perchè, per fare la festa, “ci vogliono i soldi”: degli altri. E se i numeri sono questi, e fin qui “l’hanno fatta franca”, c’è poco da fare. Come disse quel Tale: “Estote parati”.