La Procura di Caltanissetta ha dato notizia di un’indagine condotta nei confronti dell’ex Presidente di Confindustria Sicilia, Antonello Montante, e di altre 21 persone. Corruzione e altro, le ipotesi investigative, al fine di procacciare informazioni abusive, per usi variamente illeciti.
Oltre Montante, altre cinque persone sono in atto agli arresti domiciliari: un colonnello dei carabinieri; due funzionari di Polizia, un ufficiale della Guardia di Finanza, un imprenditore. Fra le persone sottoposte ad indagine, l’ex Presidente del Senato, Renato Schifani.
Le notizie per ora correnti riguardano gli effetti. Montante, è un effetto. Ma si vorrà farlo passare per la causa. Che è il Sistema normativo ed istituzionale Antimafia. Ci riusciranno.
Ma, intanto, dato che, nel nome di Montante, anche Confindustria nazionale (di cui lo stesso fu Vice-presidente) si adornò con le insegne “della legalità”, qualcosa si può dire. C’è un’immagine, infatti, tratta dai primi resoconti, che olezza più di altre; e non interessa per il suo teorico “rilievo penale; ma proprio perché ci riporta alla causa di questo scempio.
La consegna Massimo Romano, l’altro imprenditore ora agli arresti domiciliari. Ai Pubblici Ministeri, che lo interrogano nel Luglio 2016, racconta che l’On. Giuseppe Lumia, nel corso di una cena avuta a Roma, gli avrebbe chiesto di presentare una denuncia, in cui esporre falsamente di aver subito un’estorsione; aggiungendo che, se fosse mancata, avrebbe costituito un “neo”, per il “percorso di legalità”. Romano obietta che lui non ha “mai pagato nessuno”; Montante, allora, fra i presenti, conclusa la cena, a rincalzo di Lumia, avrebbe aggiunto che, così facendo, o, anzi, non facendo, li avrebbe “rovinati tutti”.
Quest’ultimo lembo di pelle, caduta dal volto ormai inguardabile dell’Antimafia Organizzata, appare particolarmente putrefatto, lebbroso.
La questione è duplice. In primo luogo, è quel “non ho mai pagato”. E si badi: non è solo stato dichiarato ai Pubblici Ministeri; era stato prima affermato in una conversazione del Settembre 2015, avuta da Romano con lo stesso Montante (e con altri). Questione centrale.
Perché dischiude, se non spalanca, una realtà variegata. Con “l’estorsione di mafia”, assunta non come fatto, ma imposta come categoria, invece, si sono ripresi antichi sostrati e creato un Nuovo Dogma: “tutti pagano”. La “denuncia all’Autorità” è stata svilita dal Sistema Antimafia: da momento di un’eventuale, e travagliatissima gestazione, ad irrinunciabile atto di omaggio alla Verità.
Simile svilimento si è avvalso principalmente della memoria di Libero Grassi. Una delle Memorie Abusate (le altre sono quelle di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino). Libero Grassi, nel 1991, si è portato oltre sè stesso, nell’unicità di una scelta intima, profonda, intrasmissibile: dunque, eroica. Tuttavia, un complesso istituzionale e culturale, l’Antimafia Organizzata, è venuto privando quella scelta della sua unicità, riducendola ad ovvietà da ciclostile.
E se la vittima è aggiogata ad una burocrazia sciacalla e parassita, essa vittima deve “obbedire”: sotto lo scudo emotivo di una “eccezione”, la paura non è contemplata, perché è un sentimento normalmente umano. Non può che prevalere l’interesse dell’Apparato, e il suo imperativo normalmente antiumano: “non denunciare”, allora, non è una delle possibilità, conseguenti alla inesistenza possibile di un fatto, l’estorsione; è un “attacco eretico”; e la libertà, la testimonianza che lo sostengono, tanto più perché espresse già nello slancio di uno sfogo intimo, sono un “neo”, che può diventare tumore. Ma per chi?
E siamo alla seconda questione: “tutti rovinati”. Quel “tutti”, non è custodito da nessun segreto investigativo; che potrà, semmai, riguardare il dettaglio di quest’ultima propaggine dell’insieme.
Si consideri, per cogliere l’ampiezza del fenomeno, che gli imprenditori, nel tempo contemporaneo, affluente, misto, mutevole, avrebbero perduto la loro connotazione di classe: e, tuttavia, con singolare “regresso storico”, sembrano averla riacquisita proprio quale fondamento per l’Antimafia Organizzata. L’imprenditore deve essere il nuovo “soggetto obbediente”, perché è il “soggetto abbiente” (più o meno). A lui vanno le Misure di Prevenzione; a lui, le Interdittive Antimafia. E’ lui la sentina della nuova eresia: “non ho mai pagato”.
E dato che il prossimo futuro legislativo pare avviato a godere tanto della parificazione corruzione-mafia, che della ridefinizione di essa “mafia” oltre i tradizionali connotati socio-geografici, sarebbe bene schivare ogni tentazione riduzionistica, all’insegna di un vano e suicida “è roba da terroni”, e simili. E’, e sempre più sarà, una questione politica, sociale ed economica nazionale.
Così riconsiderato “il fondamento”, si potrà intendere la misura del Sistema che vi grava. La “denuncia all’Autorità”, è stata esposta nella sua nudità più ignobile: è un arnese che trasforma la violenza di alcuni, nell’impostura fruttifera di altri. Di molti altri. E che “non può mancare”.
D’altra parte, va ancora rammentato che questa indagine, in ragione delle accuse di alcuni collaboratori di giustizia, era stata avviata per concorso esterno in associazione mafiosa. Che, nel Febbraio 2016, si era già scoperto un archivio, colmo di appunti e documenti concernenti le multiformi relazioni di Montante. Che esse comprendevano anche magistrati della DDA di Caltanissetta. Che, su queste, a Catania era stata aperta un’indagine, poi archiviata, ma con atti trasmessi al CSM. Che ogni DDA, per legge, è “in cima alla piramide”, e offre la materia (atti di indagine) per tutti i provvedimenti coercitivi, a carico di imprenditori, sopra indicati. Che Montante, nel 2015, fra gli applausi dell’Antimafia Organizzata (e con l’imprescindibile benestare della sua componente togata), era stato nominato all’Agenzia Nazionale dei beni confiscati (che gestisce un patrimonio di circa trenta miliardi di euro). Che i beni confiscati (il 53% del totale nazionale, ricadono nel distretto di Palermo) furono amministrati per disposizione del “Tribunale-Saguto”. Che pure quest’ultimo è a processo a Caltanissetta. Che a Caltanissetta, oltre al Palazzo di Giustizia, c’è, ciliegina sulla torta, fra l’altro, “il Palazzo della legalità”, ricreato, con i suoi 50 appartamenti, da una confisca disposta, magno cum gaudio, nei confronti del predecessore di Montante alla locale Confindustria, condannato in situ, per associazione mafiosa. Che la presente e ultima indagine, per corruzione e “spionaggio privato”, nasce dove muore quella per concorso esterno, con le sue numerose relazioni.
Ecco, i “tutti”.