L’omicidio di Vasto. Sappiamo, purtroppo: Fabio Di Lello, lì panettiere e calciatore dilettante, ha ucciso Italo D’Elisa, 22 anni, responsabile di un incidente stradale in cui, il 1 Luglio 2016, era morta sua moglie, Roberta Smargiassi, 34. L’omicidio, volontario e premeditato, è stato posto in relazione ad un “clima”. Il padre di Italo, Angelo D’Elisa ha parlato di “una maledetta campagna di odio”; il Procuratore della Repubblica di Vasto, Giampiero Di Florio, ha rilevato una “Claque di morbosi, che ha portato avanti un’incomprensibile campagna di Giustizia…”, con cui “…hanno alimentato il suo [di Di Lello, n.d.r.] sentimento di vendetta ogni giorno”. Nel corso di questi sette mesi, ci sono state fiaccolate per “chiedere giustizia”, cortei, social in fibrillazione: dall’account FB di Fabio Di Lello campeggiava un’immagine di Russel Crowe, ne “Il Gladiatore”.
Il rilievo attribuito al “clima”, anche nella tragedia di Vasto, non pare dunque arbitrario. Ma ad una condizione; di precisare origine e misura del “clima”.
Francesco Merlo, su Repubblica ha scritto di “una tragedia italiana”; tale è sicuramente. Ma di quale tragedia, e di quale Italia, scrive Merlo? Scrive di “parte peggiore e più plebea del paese”, riferendosi a Vasto, ma come simbolo di ogni contrada in cui prevalga il ventre sulla testa, l’istinto sulla coscienza; e fa un figurone. La parola, il sogno, di quelle plebi era: “punizione”. Dottamente scrive Merlo: “surrogare l’imbelle magistratura”. Non genericamente “inefficace”, lenta; ma “imbelle”, incapace di colpire, di infliggere castigo e sofferenza. Fermiamoci qui. Ora non siamo più nei mesi che incupirono l’anima di Fabio Di Lello. Ora siamo di fronte al cadavere di Angelo D’Elisa.
Eppure, anche l’Arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto, Monsignor Bruno Forte, dichiara: “con un intervento rapido della giustizia e una punizione esemplare” forse non si sarebbe armata la mano omicida. Forse. Punizione esemplare è quella che intimorisce, sbigottisce con la sua stessa durezza e implacabilità. E’ la stessa aria: dai social all’altare; dal prima, che inneggia, al dopo, che rimpiange, il sogno è sempre quello della spada, della ghigliottina: legare la “giustizia” alla “forza ineluttabile”; bollare di “ingiustizia” tutto quanto quella forza non possieda. Perciò l’aggiunta, “Non c’è vendetta che può essere ritenuta giustizia”, messa accanto all’invocata “giustizia esemplare”, suona vuota, disattenta, incongruente.
Dunque ci sono le plebi, scrive Merlo, che s’ingrossavano contro la giustizia “imbelle”, incapace di “punizione esemplare”, nelle parole di Monsignore. E da dove vengono, queste plebi, che si aggrumano intorno ad un Tribunale, che delirano di farsi Tribunale esse stesse? Da dove nasce il fantasma che le agita? Il fantasma di una giustizia con le unghie spuntate, che non azzanna? E’ nata a Vasto? E’ solo faccenda di plebi, più o meno anonime? O vanta primogeniture, se non principesche, almeno repubblicane, diciamo pure: secondo-repubblicane, caro Merlo?
Clima d’odio. Clima infame.
“Clima infame” non è un’espressione anonima o neutra, specie se pronunciata nei dintorni di un Tribunale: è di Bettino Craxi, che la usò per incorniciare l’infarto di Vincenzo Balsamo, tesoriere del P.S.I., “monetizzato”, per il ristoro e il godimento di folle, di tribuni, che volevano “una punizione esemplare”: del Tesoriere medesimo, del Segretario, del Partito, dei partiti, di un’intero mondo, via via ampliato fino ad un’intera “Italia peggiore”, agli “otto/dieci milioni di condotte tipiche”, care al dott. Pier Camillo Davigo (allora, e oggi, sempre le stesse). Ma Craxi potè dar voce ad un sentimento, non ad un ragionamento; era l’umano sentire che dettava quelle parole, tuttavia non si potevano certificare nessi causali. Giusto. E lo stesso si potrebbe dire oggi: insistere troppo sul contesto, sul delirio collettivo, rischia di ridurre una decisione umana, responsabile, ad un automatismo macchinistico, irresponsabile; di presentare quattro colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata, come fossero poco più che una plumbea grandinata.
E tuttavia “il clima” c’è. Non solo a Vasto, però.
E allora di chi è la colpa? E’ del “clima”? O di chi agisce nel “clima”? Il circuito diabolico è esattamente questo; e proprio per prevenirlo, nelle epoche di civiltà, la giustizia si ricerca dentro i Tribunali, non nelle vicinanze: dove non ci sono folle, non ci sono stati di assedio mediatico, per cui, se il giudizio condanna, bene; altrimenti, gli avvelenatori delle coscienze, pronti, entrano in scena ed inoculano: che il giudice era corrotto, o mafioso, o “amico”, o “concorrente esterno”.
Crede davvero, Merlo, che fra le plebi di Vasto, e chi, leggendo e scrivendo libri, sapendo stare in tavole con quattro forchette, ha vellicato frustrazioni, intessuto trame di odio ottuso, fatto del pettegolezzo questurino la chiave di volta della vita associata, ci siano reali differenze? Forse le differenze ci sono: ma a scapito di chi ha ideato, voluto e perseguito la più vasta diseducazione di massa che l’Italia unita ricordi: tale da far sembrare l’entusiasta “Culto del littorio”, l’abbacinamento di fronte al “Sol dell’Avvenire”, un’oretta di lezione liceale malriuscita.
Il fantasma di una “giustizia” che non punisca mai abbastanza, non si è manifestato a Vasto: è la ragione costitutiva della superstizione isterica, spacciata per “coscienza civile”, che da vent’anni e oltre scorrazza per l’Italia.
Sicuri, Merlo, che nei suoi paraggi, senza nemmeno un accenno ai “tumulti di gioventù”, siano moralmente in condizione di esprimere, sulla “parte peggiore e più plebea del paese”, una candida e addolorata indignazione?