San Matteo prima di diventare santo era un esattore delle tasse. Per gli ebrei, alla cui religione apparteneva, era un peccatore perché lavorava per l’erario del dominatore romano. Gesù lo salvò chiamandolo a fare uno dei suoi dodici apostoli.
Purtroppo la storia si ripete, ma non completamente: non c’è alcun messia sulla terra che possa riportare sulla retta via Matteo Renzi, prendendo le distanze dagli usurai che lavorano per l’Agenzia delle Entrate e per Equitalia. Non c’è nemmeno un angelo che lo ispiri a scrivere una specie di Vangelo secondo Matteo dove il primo insegnamento è: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo agli uomini”. Difatti Renzi ha completamente dimenticato chi era, dove e come viveva prima di assurgere al premierato. Quando voleva assumere tutti gli insegnanti precari della scuola, a cominciare da sua moglie. Parlava di quelli che erano i problemi del suo quotidiano, come tutti i comuni mortali.
E se Gesù non è sulla terra, Matteo si sente in cielo o quantomeno venuto dal cielo. Considerato che il suo nome significa “dono di Dio”. Non so se nel nome sia scritto il destino perché, se bastasse così poco, molti di noi sarebbero dotati di ali d’angelo. Bisogna fare onore al proprio nome, senza insuperbire. Il problema è che il destino di Renzi, vista la sua posizione e finché la ricopre, diventa anche il nostro. E benché si sia presentato a noi come un dono caduto dal cielo e non salito dall’infernale sinistra, che sta cercando in tutti i modi di bruciarlo, ci pare che nessuno voglia più considerarlo un miracolo per l’Italia. L’ex presidente Napolitano aveva quasi esaurito tutto il proprio soffio vitale soffiando nel palloncino renziano, e tutti avevamo alzato gli occhi al cielo, anche perché in terra c’erano solo ossa di dinosauri. Ma ora cosa ci rimane? Un premier scollato dalla realtà, che ha sottovalutato le richieste, i disagi, le grida, i suicidi degli italiani. Un premier che lunedì ha commentato con incoerente superficialità l’esito delle elezioni amministrative dove il movimento 5 Stelle ha conquistato 19 comuni sui 20 in cui era in ballottaggio: “Non è un voto di protesta. Riflettiamo. Queste elezioni si sono vinte sull’ansia di cambiare più che sul racconto di un sentimento di rabbia o con gli atteggiamenti positivi”. Come se gli elettori fossero guidati dal capriccio nella cabina elettorale quanto dentro alla cabina di una spiaggia, quando devono decidere quale costume da bagno indossare. Abbiamo capito: non attacca più la canzoncina in voga ai tempi dei governi balneari democristiani: “Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare”. E anche se in questi mesi ci è stato ripetuto come un mantra che Renzi fosse l’ultima spiaggia, gli italiani hanno trovato comunque più accogliente il lido penta stellato, costellato di Raggi con auscultanti orecchie a sventola e Appendino con frangia anti pioggia alla Trump.
I dinosauri Prodi, D’Alema e Bersani, dissotterrati all’uopo dai media, hanno accusato il governo di aver trascinato l’Italia nell’era mesozoica. Lasciando da parte chi sia l’artefice del clima infernale in cui ci troviamo, quando mercoledì scorso al tg 2 delle 20.30 il premier ha profferito: “Apriamo le finestre, altro che caminetti”, abbiamo avuto la certezza che avesse preso un colpo di sole. Prolungato, visto l’abbronzatura che sfoggia da giorni e visto il comune idioma cristiano con cui si è rivolto agli inglesi per scongiurarne l’uscita dall’Europa. Va beh che Renzi non mette due parole d’inglese in croce, ma sputare sentenze latine significa non capire che può rivelarsi un boomerang culturale.
Da che pulpito Matteo può esortare gli inglesi, profferendo “sibi constet”, a restare in sé e non tentare altre strade? E a non dubitare nutrendo “spes contra spem”, ossia la speranza contro ogni speranza?
Misteri divini che solo un Alberto Sordi avrebbe potuto interpretare.