Il crollo di un edificio, se visto dall’esterno, viene percepito come un evento istantaneo e inatteso che spesso accade senza preavviso. Guardando questi fenomeni più da vicino e nel lungo periodo tuttavia, ci si rende conto che la fase finale, quella del cedimento vero e proprio in realtà è preceduta da impercettibili cambiamenti e sommovimenti; dall’apparire di piccole crepe che ne compromettono gradualmente la stabilità strutturale fino a provocare il disastro conclusivo.
Questa regola è applicabile non solo all’architettura e all’ingegneria civile ma ad una quantità di altri campi, dalla psicologia, alle relazioni sociali alla politica.
Quello che sta avvenendo in questo periodo all’interno del sistema politico americano è paragonabile ad uno di questi cedimenti strutturali; ad un momento di svolta, almeno potenziale, che segna l’abbandono di una linea, di una direzione che era stata mantenuta per un lungo periodo di tempo ma che nuove circostanze rendono ormai obsoleta.
Le elezioni primarie e la nomina del sostituto di Antonin Scalia alla Corte Suprema, vale a dire due tra gli avvenimenti principali che occupano, in queste settimane, le pagine dei giornali americani, sono entrambi sintomi di questi più vasti movimenti tettonici in atto da tempo nel tessuto sociale e politico degli Stati Uniti. Due facce della stessa medaglia che, per quanto rispondano a mutamenti generali in atto in tutto il paese (vedi l’inatteso successo di Bernie Sanders tra i giovani americani), sembrano verificarsi in maniera particolarmente drammatica, per lo più sul “fianco destro” dello spettro ideologico della società americana e del partito politico che lo rappresenta.
La deriva autoritaria intrapresa dal Partito Repubblicano e dal movimento conservatore in generale negli ultimi anni si sta esprimendo in due maniere: una violenta, becera e “neo-squadrista” di cui l’ascesa di Donald Trump è il sintomo più evidente, l’altra più subdola, ipocrita e istituzionale che si esprime da tempo nell’ostruzionismo estremo al limite del nichilismo, che i vertici del GOP hanno inaugurato e applicato in maniera irriducibile alle Camere, sin dal primo giorno dell’insediamento del presidente Obama alla Casa Bianca.
Mentre l’aggressività dei toni e dei modi di Trump sono finiti di recente sotto i riflettori dei media, quella “violenza soft”, infida e sleale perpetrata ormai da anni dai vertici politici dalla Destra nei confronti del governo Obama, si è invece affermata e consolidata come “nuova normalità” ma provocando forse effetti ancora più gravi e distruttivi in grado di compromettere, nel lungo periodo, la solidità delle basi istituzionali del paese.
Ed è proprio questa “violenza-soft” che si sta esprimendo adesso in tutta la sua virulenza con il rifiuto da parte del Senato (controllato dai repubblicani) non solo di approvare ma addirittura di concedere un’udienza a Merrick Garland, il giudice che il presidente Obama ha nominato come possibile sostituto di Antonin Scalia alla Corte Suprema.
I fatti sono ormai noti a tutti: la Costituzione degli Stati Uniti prevede che a seguito della scomparsa di uno dei nove membri della Corte Suprema, il presidente in carica nomini un sostituto, scelto di solito tra una lista di candidati riconosciuti per le loro competenze giuridiche e costituzionali.
Il Senato a sua volta, ha il dovere di “consigliare e assentire” alla nomina, vale a dire di concedere o negare la sua approvazione.
Dal momento che gli incarichi alla Corte Suprema sono “vita natural durante”, queste nomine hanno anche un’enorme valenza politica perché le inclinazioni ideologiche dei giudici prescelti hanno la capacità di definire le basi costituzionali delle leggi promulgate per lunghissimi periodi che si estendono ben al di la dei limiti di tempo dei singoli rappresentanti del corpo legislativo (deputati, senatori e presidenti).
Prima della morte di Scalia, la corte americana tendeva marcatamente “a destra” ma ora, dopo la scomparsa del giudice italo-americano, il presidente Obama ha l’occasione di spostare per la prima volta in quasi mezzo secolo il baricentro ideologico della Corte.
E’ chiaro che una situazione di questo genere provochi non pochi crucci e rammarichi in campo repubblicano ma l’idea stessa di “Democrazia” non consiste dopotutto proprio nell’accettare le norme che regolano la coesistenza sociale e le decisioni della maggioranza anche quando esse si discostano dalle proprie?
Il Senato a guida GOP invece ha dichiarato che non avrebbe neanche preso in considerazione una nomina proposta da Obama sulla base del risibile pretesto che la carica del presidente tende verso la fine (manca circa un anno alla conclusione del suo mandato) e che quindi sarebbe più legittimo spostare la nomina fino a dopo le elezioni perché questo rifletterebbe meglio il consenso popolare.
Questo ovviamente, non è altro che un patetico tentativo di guadagnare tempo e di negare ad Obama (e indirettamente a tutti gli americani che lo hanno eletto per ben due volte) il diritto costituzionale di nominare il sostituto di Scalia.
La valenza sovversiva di questa inaudita e inspiegabile decisione appare ancora più clamorosa quando i rappresentanti del GOP tentano goffamente di razionalizzare il sopruso che stanno tentando di perpetrare ai danni della nazione e che, pur avendo (immagino…) una tenue base legale, appare del tutto inaccettabile sia dal punto di vista procedurale che da quello morale.
Un efficace distillato di questa strabiliante ipocrisia è stato espresso, subito dopo la notizia della morte di Scalia, dal leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell che ha dichiarato che il rifiuto ad agire del contingente repubblicano al Congresso corrisponde esattamente a quello che avrebbero fatto i democratici se le parti fossero invertite.
McConnel ha fatto allusione ad alcune dichiarazioni fatte anni orsono dal senatore democratico Charles Schumer secondo il quale il Senato dell’epoca (controllato allora democratici) avrebbe dovuto rifiutare a priori qualsiasi nuova nomina alla Corte Suprema avanzata dall’allora presidente George Bush.
Naturalmente le dichiarazioni di Schumer, espresse in un quel contesto di estrema faziosità della politica americana, sono restate, appunto, solo parole e non esiste alcuna prova del fatto che, messo di fronte alla gravità di una decisione di questo genere, Schumer avrebbe fatto seguire a queste parole i fatti. Se questo punto avanzato dai repubblicani avesse senso, chiunque dica a qualcun’altro in un momento di rabbia, “ti ammazzerei” potrebbe essere arrestato dalla polizia per “tentato omicidio teorico”.
Il GOP tuttavia, non ha avuto alcuna remora ad aprire una nuova “crepa” nell’edificio istituzionale dello stato passando dalla teoria ai fatti con un gesto il cui valore “trasformativo” nel lungo periodo equivale ad un altro passo verso un “autoritarismo soft” già precedentemente introdotto da distorsioni politiche e procedurali come l’uso indiscriminato della cosiddetta Filibuster (che consente alla minoranza in Senato di bloccare le iniziative legislative della maggioranza) o la suddivisione a proprio uso e consumo dei collegi elettorali nota come Gerrymandering.
In questo nuovo fronte della battaglia politica tra Destra e Sinistra il movimento conservatore approfitta della intrinseca ambiguità della Costituzione americana, un documento scritto nel 700 in termini tanto altisonanti quanto lontani dalla precisione semantica di un contratto o di un codice.
L’aspetto ironico di tutto questo naturalmente consiste nel fatto che questa polemica sulla nomina alla Corte Suprema è dovuta alla scomparsa di Antonin Scalia, una figura di prima grandezza nel pantheon ideologico della Destra e considerato da tutti come il campione di quella corrente “Originalista” del pensiero giuridico basata sull’idea che la Costituzione sia un documento “morto” dove, cioè, non è lecito inserire alcun significato interpretativo al di fuori di quello letterale, già dichiarato esplicitamente nelle parole del testo.
Malgrado questo, nell’attuare questo suo ultimo atto di prevaricazione e di disprezzo nei confronti del presidente Obama, il Partito Repubblicano ha fatto l’esatto contrario di quanto sostenuto per anni dal suo idolo Scalia, non esitando ad insinuarsi ipocritamente proprio in quegli interstizi interpretativi creati dall’inevitabile ambiguità del documento. Un’ambiguità che, in tipico stile repubblicano, viene volta per volta impugnata come valore inviolabile o ignorata di sana pianta a seconda di come faccia più comodo al momento.
Il dramma che si sta consumando in questi mesi in seguito alla meteorica ascesa di Donald Trump nel Partito Repubblicano e ai tentativi di sabotaggio nei suoi confronti ad opera dei responsabili del partito stesso, viene presentato da più parti come il tentativo della corrente maggioritaria, moderata e centrista del GOP di arginare quella più estremista rappresentata da Trump e dai suoi sostenitori. In realtà, per chi segue da un po’ di tempo le dinamiche della politica americana, è chiaro che questa battaglia interna per il controllo del movimento conservatore non è altro che una lotta tra due categorie di autoritarismo: uno, quello “trumpiano” più esplicito, dichiarato e quindi, almeno più riconoscibile. Il secondo, più subdolo, codardo e perciò potenzialmente molto più insidioso.