La Corte Suprema di Cassazione: è al vertice della giurisdizione ordinaria italiana. Tra le sue funzioni, assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge; l’unità del diritto oggettivo nazionale; il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni… A differenza dei paesi anglosassoni, le sue pronunce non sono vincolanti che per il giudizio cui si riferiscono. Le sue sentenze non fanno legge, ma costituiscono precedenti di cui comunque si tiene conto.
E’ sempre buona regola leggere con attenzione le sentenze: a volte possono sembrare frutto di bizzarria, ma se si leggono le motivazioni se ne coglie poi senso e logica. Ma non mancano sentenze che sembrano contraddire il senso comune.
Una delle ultime, per esempio: stabilisce che l’accusa di stalking viene meno se la persona perseguitata al telefono o con gli SMS risponde. Se i contatti indesiderati non li si lascia cadere nel vuoto in qualche modo si asseconda il comportamento del molestatore, e – testuale – “così viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima”. In breve: il molestatore chiama, la ragazza risponde, accetta un ultimo incontro chiarificatore con l’ex fidanzato, l’incontro ha un epilogo violento. Un comportamento “poco coerente della ragazza fa venir meno lo stalking”. In punto di diritto sarà tutto ineccepibile. Dal punto di vista concreto, evidentemente c’è di che restare perplessi.
Come lascia più che perplessi la famosa sentenza dei jeans del febbraio 1999. Un indumento, sempre secondo la Cassazione, talmente aderente da rendere praticamente impossibile toglierli senza il consenso dell’interessata. Cosicché la ragazza che quei jeans li indossava non poteva lamentare la violenza che aveva denunciato. Come si sia arrivati a questo convincimento, come i giudici di Cassazione abbiano stabilito che i jeans non si possano sfilare se non volontariamente, appartiene a quel tipo di riflessione, di pensiero che non riusciamo a comprendere. Ma ancor meno comprensibile il fatto che qualche settimana dopo un’altra sezione della Corte della Cassazione stabilisce che un’altra ragazza, ha subito effettivamente la violenza denunciata. Eppure anche lei indossava un paio di jeans; e ci sarebbe da ridere, non si trattasse di questioni serissime, come appunto sono le violenze sessuali e gli stupri.
Il repertorio delle sentenze della Cassazione definiamole “curiose”, è nutrito.
Le donne, dice il proverbio, non si toccano neppure con un fiore. Se però donna è vostra moglie, e se vostra moglie è di costituzione robusta, e voi la maltrattate, forse in questo caso, ve la potete cavare: come quel tale di Livigno, assolto perché la consorte non si era mostrata particolarmente intimorita dalle percosse.
Capitolo ingiurie: vi capita di dare del buffone a un qualche politico e gli augurate magari di fare la fine di Ceaucescu? E’ possibile che siate assolti; almeno è quanto accaduto a un signore che così si era rivolto nei confronti di Silvio Berlusconi; ma non vi scappi di bocca “Sei come Monica Lewinsky” In questo caso, com’è accaduto, potrebbe essere considerata ingiuria.
Li vediamo tutti i giorni nelle nostre strade che chiedono l’elemosina. Sfruttamento dei minori? Non sempre. Costringere il figlio a chiedere l’elemosina per alcune comunità, testuale, “costituisce condizione di vita radicata nella cultura”.
Droga. Qui ci si può divertire. Se coltivate piantine di cannabis potete farlo senza incorrere in reato. E’ sufficiente che le piantine non maturino, perché così “non costituiscono un pericolo per la salute pubblica”. Però potete anche dichiarare che si tratta di marijuana meditativa, “possibile apportatrice dello stato psicofisico teso alla contemplazione nella preghiera”. In quanto adepti del culto rastafariano, sarete tollerati.
Avete preso una multa? Forse non è valida: per farvi comprendere che avete commesso un’infrazione il vigile vi deve guardare fisso negli occhi. Offrire denaro a un poliziotto per evitare una multa di solito è corruzione; ma dipende da quanto si offre: se si tratta di dieci euro il fatto non sussiste, per palese irrisorietà.
La pausa caffè, infine: è tollerata, ma solo se di pochi minuti. Pochi quanti? Questo non è ben precisato. La storia è questa: un dipendente si infortuna durante la pausa caffè, ma si è visto negato il risarcimento perché la pausa caffè era troppo lunga, e non rientrava “nell’attività di ristoro giudicata utile al rafforzamento delle proprie energie psico-fisiche per un migliore espletamento del servizio”. Tutto nero su bianco, in nome del popolo italiano.