L’epilogo maldestramente ondivago dell’ex Sindaco romano: la sua rinuncia; poi la rinuncia alla rinuncia; quindi la rinuncia dei consiglieri comunali alla rinuncia alla rinuncia del Sindaco medesimo, non sono stati l’espressione di un’esperienza politica che si inabissa per avere amministrato male, o peggio di come ci si attendeva. Ha semmai esemplificato, con tutta la risonanza che Roma può suscitare in Italia, che la realtà della politica: atti, azioni, scelte, mete, non presentano alcun rilievo. Ma, è questo il punto: la politica incarnata nella realtà non ha rilievo perchè, deliberatamente, tutto si scioglie in un racconto, in una “presentazione”, una sorta di Maxipowerpoint: incessante, facile, accattivante e godibile, come una melodia da canticchiare nel corso della giornata.
Marino non si è candidato, alle primarie del Partito Democratico prima e a Sindaco di Roma poi, per agire: ma per impersonare una dramatis persona, un personaggio su un proscenio. Il personaggio era quello del “marziano”: a significare una siderale distanza dai suoi predecessori ma, segnatamente, da quello più immediato, Alemanno.
Una volta preso l’abbrivio, l’incantamento avvince: non si parla di trasporti, di responsabilità amministrative dei singoli dipendenti, di smaltimento dei rifiuti, di asili nido, di urbanistica, di scuole, di bilancio, a partire da un punto certo per arrivare ad un altro punto certo. No: si esclude che l’azione amministrativa abbia una reale dimensione, e si caldeggia un’interpretazione in cui valgono solo immagini-chiave, ammiccamenti: “discontinuità”, “legalità”, “antifascismo”, che accantonano l’amministrazione attiva e alimentano un perenne “dibattito”, il commento, la storia.
Così, le necessità minime e massime della vita associata, che proprio nell’amministrazione locale dovrebbero rinvenire la prima e più immediata audizione, vengono scarnificate e ridotte al ruolo di comparsa. Gruppi criminali hanno assorbito la vita della città, tutt’intera, ogni centimetro, ogni centesimo, ogni battito di ciglia: sicchè, l’inerzia, l’inadeguatezza, le carenza della Giunta, se mai si ammettessero, sarebbero comunque spiegabili come perenne ed insondabile effetto di quella presenza. E perciò, espunte dalla realtà. Quando, nello scorso Dicembre, la Procura della Repubblica ha esposto alla comune conoscenza l’inchiesta Mafia Capitale, il racconto si è inarcato fino alle vette della Verità Assoluta.
Vedete? C’era del marcio, e c’è ancora, perciò tutto quello che io dovevo fare, ha detto il Sindaco, era parlarvi del marcio, raccontarvelo. Non altro. Solo che gli interessi criminali colpiti, anzi politico-criminali, anzi politico-cultural-criminali, non desistono: perciò tanto hanno fatto, che mi sono dimesso. Come si vede, al suo apogeo, il racconto si è fatto etereo, così sublimato in dicotomie onnivalenti da chiamare in causa il teologo.
E qui casca l’asino, con rispetto parlando. Perchè, proprio a proposito di teodicee e di teogonie, la scelta di non fare il Sindaco ma la dramatis persona si è incartata su se stessa.
Come si è diffusamente osservato, fra i più puntuti detrattori del Sindaco Marino, si è levato Papa Francesco: personalmente, e in più di un occasione. Secondo le rime obbligate di una narrazione pedagogica che non ammette graduazioni, Papa Francesco può essere solo:
A) uno stupido politico-amministrativo, perchè non capisce che, indebolendo Marino, rafforzava Carminati&C;
B) uno stupido politico-amministrativo ed anche un impiccione geo-politico, perchè non si è mantenuto al di qua del Tevere;
C) non è uno stupido e tiene nel dovuto conto l’inchiesta Mafia Capitale, ma non la considera valido strumento politico amministrativo per giustificare inerzie e inadeguatezze, ma solo un’indagine che investiga su singole responsabilità;
D) non è un stupido, ma resta un impiccione, perchè, certo, agisce bene quando intacca l’autocompiacimento di interi sistemi geopolitici e di consolidati sistemi di pensiero, ma avrebbe dovuto sapere, come insegnava Padre-Veltroni, che “non si spezza una storia, non si interrompe un'emozione'.
Una simile filigrana critica potrebbe apparire scanzonata, se non fosse l’imbarazzante, ma inevitabile conseguenza della irresponsabile faciloneria con cui, sempre più frequentemente, si accredita questo modo di corrompere la realtà, di prendersi gioco della semplicità delle cose, e delle cose delle persone semplici. Faciloneria di cui “la storia di Marino” è solo un esempio. Corrompere la realtà: esatto. Cioè la conoscenza articolata, l’onestà delle verità complesse, difficili, precarie.
Saprebbe, l’ex Sindaco, indicare un apparato amministrativo nel mondo, che non susciti avidità, occhiute ed equivoche presenze, leste di mano e gravide di ogni concupiscente desiderio? Saprebbero dire, gli assertori dello storytelling di Marino-contro-Mafia Capitale, compreso il New York Times, che Papa Francesco o è un fautore della stupidità o è un fautore della criminalità?
Se non lo sanno fare, allora cambino registro e provino, per l’avvenire, ad essere “narrativamente” meno rozzi e personalmente meno pretenziosi.