Una madre chiede di assistere al proprio funerale mentre è ancora viva. Intorno a lei, tre figlie si muovono tra preparativi, oggetti da dividere, rancori mai sciolti e un matrimonio imminente. Una resta ai margini, una scrive biografie sentimentali che somigliano a confessioni, una — Astrid — si prepara a sposarsi. Ma il centro non è la cerimonia: è una pelle, ereditata, nascosta, ripiegata in un baule. Una pelle che si può indossare solo scegliendo di mostrarsi per intero.
Pelle è un testo di Chiara Arrigoni, presentato in forma di reading in inglese presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, nell’ambito dell’In Scena! Italian Theater Festival NY 2025. L’evento è nato dalla collaborazione tra il festival e il Premio Hystrio – Scritture di Scena, che dal 2023 porta a New York il testo del vincitore o della vincitrice per svilupparne un adattamento destinato al pubblico statunitense, insieme a una traduttrice e a un’artista teatrale locale.
In questo caso, il lavoro sulla lingua è stato affidato a Giulia Cowie, accompagnata dalla guida di Antoinette La Vecchia, che ha curato anche l’interpretazione della madre. “Abbiamo rielaborato il testo passo dopo passo”, racconta Arrigoni. “Non sempre la fedeltà letterale è la strada giusta: a volte serve sottrarre, altre volte aggiungere. L’importante è restare fedeli al cuore”.
Sul palco, la scena è domestica, ma niente è pacificato. Una madre e tre figlie abitano la stessa casa per qualche giorno, tra un matrimonio da preparare e una fine che si avvicina. Gli oggetti — un abito da sposa, un baule chiuso, una lasagna nel congelatore — si caricano di senso e non si lasciano più toccare con leggerezza. Sotto la superficie di gesti quotidiani, si muove qualcosa che ha a che fare con ciò che resta, con i ruoli che si assumono prima ancora di comprenderli.
“Avevo in mente le donne-foca delle tradizioni nordiche, creature che indossano una pelle per tornare a se stesse. Ma non volevo riprendere quel racconto in modo diretto. Cercavo piuttosto un’immagine porosa, in cui ognuno potesse infilare il proprio: un’identità nascosta, una parte selvatica, non conforme, non addomesticabile.”

Le relazioni in Pelle si costruiscono in uno spazio incerto. Le sorelle si interrompono, si parlano addosso, si fraintendono con naturalezza. Scrivono lettere che non inviano, difendono chi amano mentre lo mettono sotto accusa. Il conflitto resta sommerso: emerge nei dettagli minimi, nei vuoti tra una frase e l’altra, nei silenzi che sembrano tenere insieme ma lasciano fuori. Astrid è quella che decide di cambiare schema. Di non nascondere. Di offrire tutto, anche ciò che la propria famiglia ha sempre tenuto chiuso. “Lei vuole essere amata davvero, per tutto ciò che è. Non per la versione accettabile di sé. E questo riguarda molte persone. Non solo le donne. Chiunque abbia un’identità che non rientra nei parametri, lo sa”.
Nel mondo di Pelle, ciò che si tramanda non ha la forma di un testamento ma si insinua nei gesti quotidiani: una lasagna preparata con furia, i capelli lavati come si faceva da bambine, le risate trattenute mentre ci si punzecchia. La madre non impone, ma occupa lo spazio. È stanca e lucidissima, crudele e tenera. Vorrebbe che tutto si dicesse prima che sia tardi, ma non riesce a distinguere tra il bisogno di essere ascoltata e il desiderio di avere ancora l’ultima parola. L’uomo — il futuro marito — non è un antagonista. Ma guarda da lontano, dal buco della serratura. Quando vede ciò che Astrid gli mostra, non sa cosa fare. Non reagisce con rabbia. Ma si spezza. Non gli è mai stato insegnato come si guarda davvero chi si ama, quando quell’amore non rispetta i contorni che conosci.
“Mi interessa che si possa ridere e subito dopo ricevere un colpo. In Italia a volte teatro comico e tragico vengono separati. Ma la vita funziona in modo diverso: alterna, scarta, mescola. E il teatro può restituire proprio questo.”
Restano le parole non dette, i respiri trattenuti, le scelte mancate e quelle prese all’ultimo momento. Non ci sono morali. Ma un movimento chiaro: qualcosa si spezza, qualcosa cambia. E ciò che si mostra non può più essere rimesso nel baule. Alla fine, la domanda è semplice. Quella pelle — la tua — l’hai mai indossata davvero?