C’è una storia che parte da Napoli e arriva negli Stati Uniti. Un viaggio che non si fa solo in chilometri, ma anche in gusti, in farine, in mani che impastano da generazioni. La pizza, da simbolo di un quartiere a icona globale, ha attraversato l’oceano portandosi dietro molto più che un impasto: ha portato storie, identità, orgoglio, contaminazioni. È questo che racconta Storie di Pizza – Il Sogno Americano, la seconda stagione del documentario prodotto da REcarcano srl, realizzato in collaborazione con Amazon Prime Video e la Italian Trade Commission, con il sostegno del Ministero dell’Agricoltura e il patrocinio della Regione Campania.
A presentare il progetto, durante l’incontro ospitato presso la sede dell’Italian Trade Agency, è stato Raimondo Lucariello, responsabile della divisione Food & Wine di ITA New York. Nel suo intervento ha sottolineato come la pizza, oggi, sia molto più che un prodotto: è una forma di racconto che cambia di paese in paese, ma resta sempre riconoscibile. Iniziative come questa – ha spiegato – sono preziose proprio perché riescono a portare all’estero il valore del made in Italy in modo diretto, autentico e comprensibile a tutti.
Da lì in poi, la pizza è diventata la vera protagonista. Luca Carcano, regista e mente creativa del documentario, ha ricordato come la prima stagione sia nata per raccontare Napoli, le sue strade, la Margherita, i pizzaioli, i giornalisti, e tutta quella stratificazione di cultura che fa della pizza una cosa seria. Ma con questa nuova stagione si è scelto di cambiare sguardo. Di seguire la rotta della pizza fuori da Napoli, fuori dall’Italia. Un viaggio che parte da lì ma si apre al mondo, soprattutto agli Stati Uniti, dove il 97% della popolazione consuma pizza regolarmente: un dato impressionante, tre miliardi di pizze l’anno. E così la troupe ha fatto tappa al Pizza Expo di Las Vegas, ha attraversato Hollywood, ha raccontato la pizza californiana, ma ha anche guardato con occhi nuovi quella di New York, con tutte le sue sfumature. Carcano ha spiegato inoltre che l’obiettivo non sarà semplicemente mostrare come la pizza italiana abbia messo radici in America, ma portare in Italia il movimento che nel frattempo è nato oltreoceano. Una cultura gastronomica a sé, ricca e articolata, che coinvolge pizzaioli italo-americani, napoletani d’origine e americani senza legami diretti con l’Italia, ma capaci di lavorare con rigore, passione e un altissimo livello di qualità.
Accanto a lui, il produttore Bruno Avagliano ha spiegato la scelta di aprire il viaggio con una donna, Giorgia Caporuscio, pizzaiola a New York e figura simbolica in un ambiente ancora fortemente maschile. La sua è solo la prima di una serie di storie per dare voce a chi, giorno dopo giorno, sta ridefinendo la pizza da dentro. Da Robert Caporuscio a Giulia Adriani, fino ad arrivare a pizzaioli americani di seconda o terza generazione che, senza alcun folklore, hanno portato la qualità italiana dentro il contesto americano. Uno su tutti, Anthony Mangieri, primo classificato nella 50 Top Pizza World: un americano che ha saputo fare la pizza come (e a volte meglio) degli italiani, con rispetto, tecnica e passione. Tra i protagonisti anche Andrea Belfiore, chef, conduttore della seconda stagione e volto della nuova scena gastronomica newyorkese. Ha raccontato come, arrivato nella Grande Mela 17 anni fa pieno di entusiasmo, sia bastato entrare in una pizzeria di Brooklyn per capire che la pizza è molto più di un semplice disco di pasta ben fatto: è un modo di stare al mondo.
Il documentario – un film da 90 minuti – non si limiterà allo streaming. Sarà distribuito in 1300 sale cinematografiche italiane da settembre, e poi, da ottobre, sarà su Amazon Prime Video, incluso nell’abbonamento. Ma vederlo al cinema avrà un altro impatto: Las Vegas, New York, le strade di Los Angeles, i forni accesi nei retrobottega di Chicago avranno il respiro largo dello schermo e il suono pieno del Dolby. Perché anche l’immaginario ha bisogno di spazio, di profondità.
E dentro tutto questo, c’è anche un messaggio politico: la promozione delle eccellenze italiane non può passare solo dalle multinazionali. Serve raccontare chi produce bene, chi lavora con cura, chi sceglie ogni giorno di fare la differenza. Le aziende ideali per progetti come questo sono quelle medie, medio-alte, che curano la qualità, che selezionano la materia prima con attenzione. Pomodori, farine, mozzarella, olio extravergine. La vera pizza comincia da lì.