
La terza edizione di Italy on Madison ha aperto le porte al pubblico dal 13 al 15 maggio, nel cuore dell’Upper East Side di New York. Per tre giorni, la sede dell’Italian Trade Agency — all’angolo tra Madison Avenue e la 67ª strada — smette i panni istituzionali e si trasforma in una casa italiana: nessuna bandiera, nessun protocollo, solo legni caldi, tessuti, stoviglie, profumi. All’inaugurazione erano presenti il Console Generale d’Italia a New York, Fabrizio Di Michele, e la direttrice dell’ICE negli Stati Uniti, Erica Di Giovancarlo.
Oltre cento i marchi italiani coinvolti, selezionati per raccontare la qualità del Made in Italy in tutti i suoi settori. Dai prodotti alimentari ai profumi, dagli abiti ai complementi d’arredo: Italy on Madison mette fianco a fianco nomi storici come Borsalino, Barilla, Illy, Mutti, Venchi, Pastiglie Leone e Marvis, insieme a firme del design e del lifestyle come Fornasetti, Pininfarina, Panerai, Acqua dell’Elba, Smeg, Moleskine, Proraso, Larusmiani e Diadora. Non mancano eccellenze legate alla cura del corpo, come Officina Profumo-Farmaceutica di Santa Maria Novella, Framesi e Boellis, accanto a realtà più giovani che puntano su innovazione e sostenibilità.

“L’Italia non si riduce a un marchio, è un ecosistema”, spiega Di Giovancarlo. “Le aziende partecipanti sono diverse per dimensioni e settori, ma condividono un’identità comune. E quella cultura va raccontata meglio: con attenzione, senza stereotipi”.

Perché questa edizione è diversa?
“Perché abbiamo scelto di farla nella nostra sede. Qui siamo a casa. Non vogliamo rappresentare l’Italian lifestyle come un’immagine da esportare, ma come un modo autentico di vivere. Ogni ambiente – dalla cucina alla terrazza – è costruito intorno a oggetti che combinano funzione, identità e cultura. L’abbiamo chiamata “home edition” perché offre un’esperienza immersiva: permette ai visitatori di percepire la qualità, l’eleganza e le emozioni che si vivono in una casa arredata con prodotti d’eccellenza. Un’occasione per celebrare non solo il design, ma anche il nostro stile di vita e la quotidianità che lo rende unico”.
Come viene percepito oggi il Made in Italy all’estero?
“Il marchio resta un riferimento globale, ma va protetto da semplificazioni e cliché. Il valore oggi sta nell’esperienza che un oggetto riesce a trasmettere: non è solo un vestito o un vino, ma un modo di pensare, un frammento di cultura. Il Made in Italy è sempre stato riconosciuto, ma oggi sappiamo raccontarlo meglio. L’Italian lifestyle rimane il vero punto di forza: un equilibrio tra creatività, qualità e visione”.
La “dolce vita” è ancora un riferimento valido?
“È un’immagine che piace, ma resta parziale. È un’espressione usata soprattutto all’estero. Se chiedi a un italiano cos’è davvero la sua quotidianità, non ti parlerà di slogan. Ti dirà del caffè al mattino, dell’auto italiana per andare al lavoro, di una cena in casa con un buon bicchiere di vino, del relax sul divano con una coperta di cashmere. Per questo insiste sul concetto di Italian lifestyle: scelte consapevoli, attenzione ai dettagli, qualità vissuta ogni giorno”.
Parliamo di italian sounding: prodotti che sembrano italiani ma non lo sono. Nel mondo supera i 120 miliardi di euro l’anno.
“Sì, purtroppo succede. I prodotti italiani, proprio perché eccellenti, vengono spesso imitati. Il danno non è solo economico, ma culturale: chi acquista qualcosa che sembra italiano ma non lo è, finisce per avere un’idea distorta di cosa rappresenta davvero il Made in Italy. Ed è questo il rischio maggiore: compromettere la credibilità dell’intero sistema”.
Come si contrasta?
“Con la conoscenza. Chi impara a riconoscere la qualità, non si lascia ingannare da un’etichetta. Educare alla bellezza, all’autenticità, è una forma di tutela. E occasioni come questa servono proprio a creare consapevolezza, ad avvicinare le persone a ciò che l’Italia sa fare bene”.
I dazi annunciati da Trump sulle importazioni europee preoccupano le imprese italiane. Che impatto potrebbero avere?
“È un nodo delicato, certo. Ma la nostra forza, oggi più che mai, è la reputazione. Quando un prodotto è riconosciuto per quello che è, supera anche ostacoli come le barriere tariffarie. Come agenzia, accompagniamo le aziende nei percorsi di internazionalizzazione. Ma è la qualità, quella vera, a costruire l’accesso ai mercati”.
