Dopo un anno di lavoro, il progetto ha preso forma. Mercoledì sera, al Consolato Generale d’Italia a New York, è stata presentata I³/NYC – the Italian Innovators Initiative, un’organizzazione no-profit che ha l’obiettivo di connettere start-up italiane che vogliono entrare nel mercato newyorkese e venture capitalist, imprenditori, scienziati, aziende disposte a sostenerle.
I fondatori dell’organizzazione, gli imprenditori Gianluca Galletto e Simone Tarantino, hanno presentato tutte le opportunità che una piattaforma di questo tipo potrebbe veicolare. “Abbiamo cominciato a lavorarci un anno fa proprio qui al Consolato, con incontri fra investitori e aziende – ha dichiarato Galletto ai microfoni de La Voce Di New York – e non potrei essere più contento di vederli riuniti nello stesso posto insieme agli esperti più importanti del settore, fra i quali uno dei capi del Dipartimento di AI di Bloomberg e una rappresentante dell’amministrazione Adams, interessati a sostenere il nostro progetto”. I³/NYC può diventare “il mezzo per oltre 6.000 imprese italiane per integrarsi e accedere al mercato statunitense, il punto di aggregazione della comunità che facilita la comunicazione con investitori e player”, ha concluso Galletto.


“Prima c’era un’intenzione – ha dichiarato il Console Generale Fabrizio Di Michele –, ora esiste qualcosa di più istituzionale, che non ho mai visto in questi tre anni. In Italia, percepisco una certa lentezza nel comprendere questo settore e credo che New York sia l’ambiente migliore per crescere”.
Attraverso le testimonianze di tre italiani che lavorano a cavallo fra l’ecosistema newyorkese e quello californiano dell’innovazione – la capa di Healthcare Ventures Ileana Pirozzi, il venture capitalist e managing partner di AlphaPrime Alessandro Piol e il cofondatore e CEO di Cloud4Wi Andrea Calcagno –, i fondatori di I³/NYC hanno motivato la scelta di concentrarsi su New York, invece di cominciare nella Silicon Valley, come avrebbe previsto l’immaginario collettivo.
I dati riferiscono che un esperto di tech su sette, negli Stati Uniti, decide di spostarsi nella Grande Mela perché “la città sostiene l’innovazione – ha dichiarato Jonathan Schulhof, capo di Innovation Industries, New York City Economic Development Corporation. – Le aziende di diversi settori, da quelli energetici all’AI, alla ricerca scientifica, vengono qui a investire. E nell’ultimo periodo è stato registrato il livello più basso di disoccupazione”.
“Questa città – ha spiegato Piol – permette continuamente di venire contaminati, in quanto epicentro di settori diversi e numerosi. Se tutte le aziende sono basate qui, allora anche i loro clienti lo sono, ancora più diversificati. Invece, in California si parla solo di tech e non possiamo permetterci di pensare che l’innovazione sia verticale”.
Lo conferma la storia di Calcagno: dopo aver studiato in Italia, si è trasferito a San Francisco per lavorare e, una volta aperta la sua attività, si è reso conto di aver bisogno di una visione più ampia che solo il mercato newyorkese offre, per la varietà culturale, imprenditoriale e di mentalità. “Cercavamo altro – ha raccontato l’imprenditore –. La Silicon Valley è cambiata con la pandemia. Adesso bisogna collaborare, essere ambiziosi per crescere”.
“Questo Paese in generale – ha ricordato Pirozzi – mi ha insegnato che va bene fallire e ricominciare, a qualsiasi età e in qualsiasi lavoro”. Concludendo su I³/NYC, secondo Pirozzi, non si tratta di avvantaggiare gli italiani più degli altri, “ma di non ostacolarli”.
