In occasione dell’inaugurazione della John Freccero Lecture Series at Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, Stefano Albertini, allievo del Prof. Freccero e Direttore della Casa ricorda qui il suo maestro.
Gli ho sempre dato del Lei e l’ho sempre chiamato Professore, nonostante lui mi avesse invitato infinite volte a chiamarlo per nome e a usare il tu. Ci provavo, partivo con “John” e alla seconda frase ero già tornato al Professore. Ridevamo e andavamo avanti col discorso e, qualunque fosse l’argomento con lui non era mai una discussione banale o noiosa. Dalla politica americana a quella italiana, dalla teologia politica medievale alla teologia della liberazione, dalle cravatte di Ferragamo, alla nostra amata Firenze, ai suoi ricordi di bambino italoamericano nel Queens, alle frasi memorabili della sua argutissima mamma siciliana, alle imprese di Francesca, Carla, Stephen e Paola, i figli di cui era orgogliosissimo.
La storia di John Freccero è un’epica storia americana e una romantica storia italiana, una perfetta storia newyorkese. È la storia di un maestro, il cui magistero si “etterna” nelle decine di suoi studenti che hanno seguito le sue orme e dalle cattedre delle più prestigiose università italiane ed americane continuano ad echeggiare, senza imitarlo, il suo stile di insegnamento.
Un ragazzo italoamericano
La sua mamma, Concetta, sarta siciliana e socia del sindacato Ladies Garment Union e il suo papà, barbiere genovese si erano conosciuti all’ombra dell’arco di Washington Square e si erano sposati nella chiesa di Our Lady of Pompei dove lui fu battezzato col nome di Giovanni da Father Demo. Nei suoi ultimi anni a New York, dalle finestre del suo appartamento poteva contemplare l’arco sotto il quale era iniziata la sua storia. Poi il trasloco nel Queens, la scuola pubblica perché Concetta diceva che le suore irlandesi maltrattavano i bambini italiani, e poi Brooklyn Tech, il liceo pubblico per gli studenti più brillanti. John era unico ma era anche consapevolmente parte della generazione di Bob Giamatti (suo amico a Yale), di Mario Cuomo, degli Scorsese, dei Fauci, dei Coppola, delle Geraldine Ferraro, ragazzi e ragazze italoamericani che erano stati i primi nelle loro famiglie a entrare nei college e nelle università più prestigiose. Famiglie di gente che lavorava sodo e che vedeva nell’educazione dei figli una possibilità di riscatto e di affermazione della propria dignità. Famiglie che celebravano i successi dei figli senza esaltazioni. La madre di John alla festa per il suo PhD gli sussurrò: “ah, se tu fossi un vero dottore…” e la madre di Mario Cuomo alla cerimonia del suo giuramento come governatore dello stato di New York gli disse °ah se fossi diventato giudice”.

Americano e italiano, newyorkese e fiorentino
Le identità di John Freccero erano queste e molte altre e con ciascuna di esse era perfettamente a suo agio. La sua eleganza innata derivava dal suo essere capace di essere sempre se stesso: a Stanford coi suoi amici, gli immortali accademici di Francia, René Girard e Michel Serres, a New York col suo barbiere siciliano Franco qui nel Village, a Firenze con gli artigiani in piazza s. Spirito. E John conosceva Firenze come pochi e la amava appassionatamente. Ne amava la storia millenaria, la bellezza diffusa, l’anima popolare e persino becera. Condivido con voi questo breve paragrafo da un suo messaggio fiorentino. Credo ci sia dentro tutto il suo modo di vedere il mondo: cultura alta e cultura popolare, arguzia, saggezza, ironia:
“I have become such an habitue’ of I Quattro Leoni (Piazza della
passera) that they now give me the “Artigiano” menu. It is prix fixe,
16.000 lire. I feel very much like one of the popolo minuto. The artigiani
around here work very hard. I never realized how hard: there is a man who
(I swear) polishes and restores silver for 14 hours a day. They are good,
decent, skillful people, who I thought were supposed no longer to exist.
Maybe the Japanese make the troiai in the mercato and the artigiani export
directly to Japan.”
Studioso e maestro
Tanti colleghi hanno celebrato Freccero come studioso profondo e originale dopo la sua morte e non c’è bisogno che aggiunga altro alle biografie intellettuali che David Quint, Danielle Callegari e Eileen Reeves hanno steso per la Dante Society of America https://www.dantesociety.org/publicationsdante-notes/quel-savio-gentil-remembering-our-teachers. In estrema sintesi si può dire che Freccero ha aperto nuove frontiere allo studio di Dante con la precisione del filologo e la libertà intellettuale del filosofo. Senza nulla togliere al tomismo dantesco, ha rivalutato ed esaltato il ruolo di sé. Agostino nella poetica di Dante e ha fatto della conversione la chiave di lettura della Commedia. Non ha scritto migliaia di pagine, lui stesso scherzava dicendo che con i criteri di misurazione quantitativa delle pubblicazioni in voga oggi nell’accademia americana, avrebbe faticato ad ottenere la cattedra. Ma ciascuno dei suoi saggi sugli argomenti più disparati della cultura italiana, dal fico e l’alloro di Petrarca a Blow up di Antonioni, dalla Caterina da Forlì di Machiavelli all’ultima sigaretta di Svevo sono diventati termini di paragone, pietre d’inciampo con cui generazioni di studiosi continueranno a confrontarsi. Ma Freccero era e rimane soprattutto un maestro nella definizione del più rivoluzionario maestro dell’Italia del ‘900, il prete fiorentino Lorenzo Milani. Un maestro, diceva don Milani è qualcuno che studia per insegnare, non per se stesso e Freccero amava insegnare e condividere coi suoi studenti ciò che sapeva con magnanimità e generosità intellettuale. Le dozzine di spunti di ricerca che offriva in ogni lezione, i riferimenti che spaziavano dai padri della Chiesa alla cultura popolare americana, i collegamenti azzardati e improbabili fra autori e testi e che alla fine della lezione ci sembravano così evidenti e logici, e la sua mitica ‘negative reading list’, i libri che si può fare a meno di leggere. Questi erano alcuni degli ingredienti che lo rendevano un Professore unico, questi, più tanti altri, più un qualcosa di indefinibile, qualcosa di vicino al sublime, il Peri Hypsous dello Pseudo Longino, la capacità, attraverso i sentimenti e le parole, di andare oltre la condizione umana e avvicinarsi a un mistero più grande.
E noi saremo eternamente grati al nostro Maestro John Freccero per averci aperto degli squarci di luce nel mistero e per averci fatto intravedere quella
luce intellettüal, piena d’amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.(Paradiso XXX)
John Freccero (1931-2021), figlio di immigrati italiani, nato e cresciuto a New York e orgoglioso laureato alla Brooklyn Tech, è stato ampiamente considerato uno dei più importanti studiosi di Dante al mondo e il più influente esperto americano della Divina Commedia.